Ricordo di Ivana Ceresa (L. Muraro)

Ricordo di Ivana Ceresa

 

di Luisa Muraro

 

Ivana Ceresa è morta il 28 febbraio, la vigilia del ritorno della primavera. La morte dà compiutezza alla vita che viviamo
in prima persona; poi, sempre su questa terra, comincia quella che viviamo nel ricordo e nell’affetto delle poche o tante persone che hanno popolato la nostra esistenza. Sono tante, nel caso d’Ivana, e in maggioranza donne.
Era nata a Rivalta sul Mincio il 14 marzo 1942 e qui passò l’infanzia e l’adolescenza.

Di
quel tempo ci ha consegnato un ricordo sopra tutti, quello della nonna
paterna: a lei, raccontava Ivana, ho fatto le prime
domande su Dio, da lei ho ricevuto la grande ispirazione della mia
vita, essere teologa. Teo-logare, dire Dio, è quello che ha voluto
fare, principalmente, fin da giovane. Singolare vocazione in ogni
tempo, doppiamente
per una donna cattolica di quei tempi, cui era precluso ogni accesso
allo studio della teologia. Ma i tempi sarebbero cambiati, e sono
cambiati anche grazie a lei e altre come lei. Nel 1966 si laureò in
lettere all’Università
cattolica di Milano, con una tesi su “San Bernardo e i laici”, per la
cui preparazione ebbe la gioia di un incontro con Yves Congar, che
ricordiamo tra i rinnovatori della teologia cattolica e che, all’epoca,
era consultore
ai lavori del Concilio Vaticano II, allora in corso.

La
mia amicizia con lei risale agli anni dell’università, infatti eravamo
entrambe “marianne, cioè ospiti del Collegio
universitario Marianum. Di lei mi stupì non poco scoprire che la sera,
nella sua stanza, recitava il rosario in compagnia di poche altre, da
lei liberamente riunite. Per me era una bigotteria, ma non osai
pensarlo di
lei, perché ogni cosa che faceva, la faceva con signoria, già allora.

Di
ritorno a Mantova, Ivana conobbe e sposò Maurizio Castelli, agronomo,
che le è stato vicino fino alla fine, con lui
ha avuto due figli e insieme a questi nella loro famiglia è cresciuta
anche una bambina ricevuta in adozione. Ricordo il loro accogliente
interno domestico, affacciato sulla bella piazza Matilde da Canossa: lì
noi due, quando abbiamo ripreso a frequentarci, verso la fine degli
anni Ottanta, ci siamo ritrovate tante volte a riflettere sulla
politica delle donne, sui grandi cambiamenti in corso, su noi stesse,
per non farci sorprendere
impreparate. Lei avrebbe detto: per tenere la lampada pulita e accesa.
Lì le arrivavano telefonate con richieste di ogni tipo e poi, a una
certa ora, in carne ed ossa, i figli e il marito e insieme si mangiava.
Accostare
con sorprendente armonia cose ordinarie e cose straordinarie, è sempre
stata una caratteristica di questa donna che stiamo ricordando e
incominciamo a conoscere meglio.

A
Mantova, dopo la laurea, diventò insegnante di lettere nelle scuole
medie superiori. Partecipò alle rivolte giovanili
del Sessantotto e lei stessa ha riassunto la sua partecipazione con
parole lievemente ironiche: “In quegli anni teologai per contestare:
l’autoritarismo, il conformismo, la misoginia, il capitalismo e tutto
il resto, scrivendo
e parlando, occupando e dimettendomi, nella scuola, in casa e in
chiesa”. Ma lo faceva in una prospettiva mutilante, scriverà in
seguito: “pensavo che fosse ancora tutta questione di raggiungere la
parità,
di volere e poter essere come un uomo. E spesso ci riuscii: la mia
compromissione con il patriarcato era così grande e inconsapevole da
ritenermi interpretata dalla prospettiva emancipazionista”. La svolta
che le
mostrò la sua personale vocazione venne negli anni Ottanta e fu il
compimento, improvviso e sorprendente, di un lungo percorso, cominciato
negli scambi con la nonna di Rivalta. Vide che la sua strada, da
sempre, andava
nel senso di dire Dio al femminile, di aiutare dunque la Chiesa nel suo
insieme a uscire dal sessismo del linguaggio, delle pratiche, dei
modelli, e le donne a parlare e muoversi in essa liberamente e
autorevolmente. Bisogna
dire che lei, Ivana, di ciò ha dato un esempio notevolissimo, che mi
sento di poter accostare a quello delle grandi figure femminili nella
storia della Chiesa. In quella presa di coscienza, a detta della stessa
Ivana,
contò l’incontro e lo scambio con la comunità filosofica Diotima
dell’Università di Verona, nata nel 1984 e conosciuta per le sue
ricerche sul pensiero della differenza sessuale.

Da
quel momento cominciò per lei una stagione di letture, di scrittura e
di parola che è durata fino ai nostri giorni,
in grande e in piccolo, nella pratica quotidiana come nei colloqui e
convegni in diverse parti d’Italia, per cambiare il linguaggio della
fede e della predicazione in rispondenza con l’esperienza delle donne,
con i loro
saperi e le loro esigenze. Raccontare Dio in lingua femminile, dirà. I
percorsi della sua ricerca come della sua predicazione (parola insolita
per una donna, ma esatta per lei) non si fermavano mai al solo
ragionamento
filosofico ma passavano regolarmente per la meditazione della Bibbia e
per la storia della Chiesa. Oltre al riferimento, dominante, alla
figura di Maria, c’erano quelli alle sante, come Chiara d’Assisi,
Angela Merici,
Osanna Andreasi, e ad altre protagoniste che sante non furono mai
dichiarate, come Guglielma Boema e Margherita Porete.

Mantova,
città e diocesi, è sempre rimasta il luogo maggiore e centrale del suo
impegno. I gruppi e le associazioni di
donne in città e provincia hanno sempre contato sulla sua
partecipazione. Ivana era contenta di essere mantovana. Della città
conosceva e onorava la storia politica. La sua appartenenza principale,
naturalmente,
era alla Diocesi, per la quale in effetti si è costantemente spesa in
tanti servizi ecclesiali, sempre un po’ sorpresa di non essere
impiegata apertamente per quello che lei propriamente era, una donna
teologa. Paradossalmente,
questo titolo le è stato riconosciuto più volentieri in ambiente laico.
Tra le esperienze più belle e importanti della sua vita, dopo la
svolta, Ivana metteva il seminario da lei tenuto nel 1989-90 presso
la mantovana Scuola di cultura contemporanea, e intitolato “Donne e
teologia: dire Dio al femminile?”, che fu per le molte accorse,
l’occasione di entrare in contatto con la migliore teologia femminista
e per non poche
di tornare a pensare a Dio.

Tuttavia,
la Diocesi mantovana non ha mancato di approvare quella che
consideriamo l’opera più importante di Ivana Ceresa.
Mi riferisco alla Sororità che l’anno scorso ha compiuto dieci anni. La
fondazione ad opera di Ivana Ceresa risale dunque al 1998 ed ebbe il
riconoscimento del vescovo di Mantova, Egidio Caporello, nel 2002. Si
tratta
di un’aggregazione femminile (ma lei ne parla come di un ordine) per la
quale la fondatrice si è ispirata, spiega lei stessa, alle cristiane
antiche, alle beghine, alle compagne di Chiara d’Assisi, a quelle di
Angela
Merici, come anche al pensiero delle teologhe femministe e delle
filosofe della differenza. Impresa umile e ambiziosa insieme,
esattamente com’era lei (e come resterà nel nostro vivo ricordo), una
donna placida che
riuniva gli opposti in un mix di cui lei conserva il segreto e noi
godiamo i frutti. (
Luisa Muraro, 1° marzo 2009)

 

Le citazioni e una parte delle notizie sono tratte da:

Ivana Ceresa, Relazione per la conferenza anglo-italiana “Donne e istituzioni”, 10-12 sett. 1991, sez. “Donne nella Chiesa”,
testo dattiloscritto in data 8 sett. 1991;

eadem, Regola dell’ordine della Sororità, in “Via Dogana” 48 (febbraio 2000), pp. 15-17.