Sintesi della relazione di G. Ziviani

“Diversi rispetto a chi?
Ancona, 3 dicembre 2010
Pensare l’identità maschile

 La relazione integrale è pubblicata sulla rivista: Reportata.Passato e presente della teologia

  1.  Una riflessione inconsueta?

      1. La prevalenza femminile

Se è contestuale ogni nostra
riflessione, la via che intendiamo percorrere per dire qualcosa sulla
maschilità deve necessariamente muoversi dal fenomeno cioè
dall’esperienza, sul piano sociale e culturale . “Il maschio
rinuncia a interrogarsi sulla propria diversità, perché «per
l’uomo è assiomatico che la propria identità sia una
non-diversità, ossia l’identità (per antonomasia) dalla quale si
concede alla donna (nei casi migliori) di distinguersi» perché è
sul piano del fare che si gioca la mascolinità. La liturgia, per
esempio, è da sempre patrimonio maschile.

      1. Il maschile e la dittatura del fare

Se il dato psichico della
donna sembra inestricabilmente unito a quello della sua funzione
biologica generativa, quello maschile è nondimeno mescolato e
altrettanto dominato da questa dittatura del fare, del lavoro, della
poiesis. L’uomo domina il mondo giocando al “piccolo
demiurgo”. La prevalenza femminile è il fare quotidiano. Un
modello maschile perdente è quasi una contraddizione in termini,
diventa simpatico, come Paperino. Ad un uomo attivo, un uomo d’azione
corrisponde un Dio condannato all’azione. Tommaso gioca con questa
tensione parlando di “motore immobile”, ma non così il primo
Testamento. Se Dio è Dio, se è fedele al suo nome-essenza deve
agire. L’identità sempre meno può essere identificata
semplicemente con il genere.

  1. Il Dio-relazione di persone (trinitaria)

L’interpretazione del
femminile/maschile riflette una società umana relazionale,
circolare, senza piramidi né gerarchie. Tutto evoca il modello
trinitario di relazione «circolare». I latini parlano di
circuminsessio ed i greci di peri-coresi: una danza
dell’essere in relazione. Angelo Scola cita Guardini sulle
implicazioni dei misteri cristiani nella società civile
(1916) che però mi sembra dica qualcosa anche a maschile-femminile:
“La Trinità insegna che tutto, ma proprio tutto, potrebbe essere,
e al massimo grado, comune. Una cosa sola non dovrebbe esserlo, la
personalità. Il diritto alla personalità è sacro ed inviolabile e
deve rimanere inviolato. I tre si contengono l’uno nell’altro e
l’uno per l’altro, come realizzazione reciproca. Gesù è la
massima realizzazione della paternità di Dio e lo Spirito è
l’operatività di entrambi. Ciascuno provoca l’altro a
dispiegarsi.

      1. La creazione della coppia originaria
        (cosmologia)

Dio è Dio, diverso dalle creature. La
differenza di genere viene dopo, in una duplice natura sessuata(Gn 1)
e poi inserendo tra esse un desiderio, di complemento (Gn 2), il
bisogno di trovare “un aiuto che gli sia simile”. E’ difficile
trovare specifici elementi di genere in un racconto mitologico, se
non questa dialettica tra solitudine maschile, ricerca di un
complemento adeguato e scoperta di una relazione esattamente
corrispondente, “fianco a fianco”. Se la donna appare
subordinata, l’uomo è decisamente incompleto.

      1. Gesù uomo perfetto (cristologia)

Come sempre si può riparare nel
binomio natura/cultura e considerare quella maschile – come fanno
molte teologhe – solo la contingenza di una necessaria incarnazione
dettata proprio dal pregiudizio culturale, che mai avrebbe accolto il
Messia in vesti femminili. Più interessante è la via realista del
rapporto di Gesù con gli uomini e le donne concrete, del suo stare
in maniera libera dentro i parametri culturali dell’epoca, del suo
annunciare il Regno con parole e comportamenti nuovi, relazioni
nuove. L’esistenza del corpo risorto non può essere trattenuta né
riconosciuta perché ormai si pone su un altro piano, coloro che lo
vedono dopo la pasqua e mangiano il pesce con lui incontrano ormai
l’«adorabile persona» di Gesù, relazione trasfigurata perché
redenta dal sangue.

      1. L’uomo nuovo in Cristo (antropologia)

“Si è dovuto universalizzare quella
umanità di Gesù che è distinta dalla sua maschilità ma correlata
con essa; consegue una antropologia modulata su Cristo, uomo nuovo,
uomo perfetto. Se lui è la matrice non ci può essere una
antropologia che definisca l’uomo al di fuori di lui, o
aprioristicamente (prima l’anthropos poi il cristiano). La
nuova creazione conosce relazioni nuove. Non solo ciascuno di noi è
chiesa, ma ciascuno è simbolo della chiesa, la rappresenta, la mette
in opera nel senso sociologico. Anche la relazione tra uomo e donna è
importante quindi. Il livello simbolico non appartiene solo ai
ministri, c’è una mediazione che è diffusa e ci auguriamo lo sia
sempre più anche in modo ministeriale, riconosciuto, ma che di fatto
è già così. Nella chiesa comunità di uguali deve trovar posto
anche una identità maschile, che mostri che volto ha un cristiano,
magari laico, adulto e maschio, perché molti non l’hanno neppure
mai visto. E’ come un presupposto teorico.

  1. Ecclesiologia e maschile: la questione del
    potere

  1. Maschile=giuridico?

La libido dominandi
non è mai completamente assente nella libido maschile. Si può dire
che i gender studies abbiano mosso i loro passi proprio
partendo dalla disparità dei sessi, ricercando meccanismi di dominio
nelle varie culture e come si costruisca spesso un equilibrio tra chi
detiene il potere, il prestigio o l’autorità e chi vi sottostà
adorando, obbedendo, ma anche occupando i propri spazi di movimento.
L’autorità ha comunque espresso la sua attitudine più maschile:
fare, operare, rendere concreti gli ideali, dare indicazioni, ma
senza mai parlare di potere, negando la questione sotto le spoglie
del servizio e di una necessità fattuale. Una delle prime cose che
il movimento femminile comprende è la necessità della struttura
istituzionale e di potere per la costruzione della vita sociale; non
c’è relazione senza mediazione giuridica, legame. Il
riconoscimento ha proprio lo scopo di costruire un equilibrio di
eguaglianza tra le disuguaglianze, una unità tra le diversità.

      1. Un grembo ecclesiale

È molto maschile, il non
sopportare le tensioni, il volere che al più presto si prenda una
decisione e ci si allinei. Se una diversa linea si crea, questa
rischia di diventare una frattura insanabile, perché l’autorità
non fa il primo passo, ma semmai attende che il figlio prodigo
ritorni. Non c’è morbidità, perché c’è addirittura la
rimozione del conflitto o la sua spiritualizzazione. Fatica a trovare
spazio la sperimentazione, che appartiene alla ricerca moderna.
Chiedere all’autorità di poter sperimentare qualcosa (in
parrocchia, Facoltà, ecc.) risulta subito sospetto. Ma le soluzioni
giuste, sul piano della prassi, non vengono rivelate direttamente, ma
semmai mediate dalla prassi. Ci sono delle realtà, che lasciano
maggiore gioco alla dialettica interna prima di intervenire, che è
un atteggiamento anche più educativo e fa crescere l’altro.

      1. Il paternalismo ecclesiastico

Un secondo atteggiamento
che credo sia piuttosto maschile, è quello dell’autorità che
concede dall’alto ciò che invece spetterebbe di diritto. E’
l’asimmetria che si veste di paternalismo, non accetta un rapporto
alla pari. Perché decidere un valore, o concordare cosa ti spetta o
sei, quando basta che tu me lo chieda? Io ti darò tutto ciò di cui
hai bisogno. In questo modo non c’è crescita responsabile, ma
dipendenza continua ed esercizio dell’autorità. A livello morale è
lo schema frequente del “doppio binario”: affermare pubblicamente
con forza l’ideale più alto, disposti tuttavia ad accogliere
privatamente tutti quelli che sbagliano o non riescono ad adempierla
pienamente. La diversità stessa, genera sempre un atteggiamento di
paura. L’altro è una minaccia che non sempre si può attaccare, a
volte conviene blandirlo e portarlo dalla propria parte, così che
disinneschi la sua diversità. Una società che azzera le diversità
e le distanze è certamente meno conflittuale, dà del tu perfino a
Dio e perde ogni timore reverenziale, ma se Dio diventa uno di noi
cosa ce ne facciamo di Lui? E se ogni diversità o follia diventa
norma a se stessa qual è la vita buona e su quali basi convivere?

      1. Il servizio è di tutti

Gesù ha dato il servizio
reciproco come regola per tutti i suoi discepoli. “Lavatevi i piedi
gli uni gli altri”. “Da questo vi riconosceranno”. Il servizio
non è una via migliore per quelli che sono chiamati ad una maggiore
perfezione o responsabilità, è semplicemente la via di tutti,
perché è l’unica, perché è la Sua. Il vescovo è a servizio del
suo popolo, ma anche viceversa, il marito è a servizio della moglie,
la ama come Cristo ha amato la chiesa (Ef 5) cioè dando la vita per
lei. Con tutta la libertà che dobbiamo lasciare allo Spirito, che
può sanare anche un matrimonio in crisi, noi dobbiamo muoverci sul
piano della vita concreta e lì tentare, pensare, cambiare modi,
cercare strade diverse, ripartire a volte.

      1. Un pensiero che funzioni

La fuga nello spirituale o nel
simbolico non ci aiuta a vivere. Non basta che ci sia l’amore:
bisogna che l’amore funzioni. Un matrimonio deve funzionare, una
parrocchia deve funzionare, deve poter manifestare ciò che
contiene/celebra. Colui che è uguale a Dio annulla l’asimmetria
per farsi uguale agli uomini , “svuotò se stesso facendosi
simile” è una perdita di identità anche sociale, perché il servo
è l’ultimo gradino della società (qui è doulou, non
diakonos). E riesce a coinvolgere Dio a tal punto che lui lo
riscatta e lo esalta. “Gesù apre per l’uomo una via alternativa
all’esaltazione di sé anche davanti alla morte, che è il potere.”

      1. Formare a un maschile amicale

A livello ecclesiologico si può
parlare di sinodalità, di organismi di partecipazione, di
corresponsabilità, di comunialità; sono tutti termini che dicono
il recupero possibile di un procedere meno isolato dell’autorità.
Non mi interessa che si faccia un sinodo coinvolgente una tantum,
mi interessa che si impari ad ascoltare di più, sempre. La cultura è
cambiata, l’antiautoritarismo ha prodotto il positivo di una
maggiore vicinanza tra persone, il prete non è più l’uomo del
sacro, ma “il don”, l’amico a cui mi rivolgo , (ma anche al
quale non ho paura di dare un calcio se lo merita), il modello
maschile e paterno è diventato più morbido ed amicale. E’ ancora
pensabile che vi siano itinerari formativi globali (come è quello
del seminario) che non prevedono una normale interazione con modelli
di vita femminili? E’ salutare che vi siano ancora comunità
monosessuali, soprattutto nella fase dell’adolescenza e della
giovinezza, quando avviene la costruzione della personalità? Non sto
dicendo che questo generi per forza delle patologie, ma che è un
peccato privarsi di una tale ricchezza, come è un peccato che un
padre cresca da solo un figlio. Nella chiesa almeno in Italia, sembra
accadere l’esatto opposto della società civile, dove la
professionalità educativa e della cura – direi quasi domestica – è
tutta femminile (insegnanti, psicologhe, assistenti sociali, medici,
infermiere), con un evidente sbilanciamento che purtroppo non esprime
adeguata stima sociale. Se le donne scioperassero in questi ambiti
bloccherebbero tutto.

      1. L’apertura al gratuito

Dobbiamo riconciliarci con l’idea che
l’altro può benissimo realizzarsi anche senza di me. Certo è un
peccato, come dicevo, ma è possibile ed è frequente. Quante donne
si realizzano senza uomini, quanti figli senza padre, quanti uomini e
donne senza fede. E non sono per forza limitati o patologici, spesso
sono brave persone. Certo l’eccesso di libertà fa paura, induce
al soggettivismo, chiede che si diano delle regole, porta ad
irrigidirsi e inevitabilmente si ripara con la forza, a fin di bene,
in nome di Colui che è l’onnipotente. Il potere maschile nella
chiesa avrebbe forse bisogno di aprirsi al gratuito anche femminile,
visto che c’è, non perché senza si muore, ma perché così si è
più ricchi.

  1. Alterità e differenza, complementarietà e
    alleanza

  1. La scomparsa del prossimo

A conclusione di questo
percorso: sono questi i termini più frequenti: alterità,
differenza, la ricchezza di essere diversi, il completarsi a vicenda,
l’essere di stimolo l’uno per l’altro, il custodire qualcosa
che all’altro manca, il poter farsene dono nella libertà, ecc. Non
posso non dirle, ma allo stesso tempo vorrei fare un passo in avanti.
Mentre stiamo a discutere sulla nostra alterità e differenza è
proprio scomparso l’altro come persona, come fratello o sorella,
per lasciare il posto soltanto all’individualismo, che è radicale
chiusura. “Il tuo prossimo” è una cosa molto semplice: la
persona che vedi, senti, puoi toccare”. Questo elemento di
vicinanza sembra essere rifiutato, anche questo è molto maschile. La
vicinanza è temuta, le comunicazioni sono virtuali, ma c’è poco
spazio per l’incontro e quando avviene non mette in gioco.

      1.  Un’amabile differenza

Mi ha sempre colpito il
fatto che Dio abbia benedetto Maria “tra tutte le donne”, l’abbia
scelta tra infinite altre come fa ogni uomo che si innamora. Lo
sguardo di Dio è maschile, innamorato solo di quella, perché
l’innamoramento è un sentimento esclusivo che scatta per una
persona sola. E quel sentimento trasforma in un fare, che è ancora
maschile, principio di fecondità. L’alternativa sessuale
attraente, di qualunque genere sia, mi stana dal mio isolamento; è
una delle poche speranze che abbiamo di non finire rinchiusi dentro i
nostri splendidi isolamenti. Per noi credenti l’altro, il fratello
(e la sorella) è anche la via della nostra carità e della nostra
fede. Qualche volta noi uomini siamo davvero la croce per le donne e
viceversa. Ce lo diciamo spesso scherzando, ma questa è invece la
verità e la strada della nostra santificazione. Per questo la nostra
reciprocità diventa alleanza, insieme liberiamo il mondo da ciò che
lo soffoca che è proprio l’individualismo e l’alterità
percepita come nemico.