Appello: perché il 25 novembre non sia solo una ricorrenza

Appello: perché il 25
novembre non sia solo una ricorrenza

 

Violenza
di genere: dal privato alla sfera pubblica

 

Il problema della violenza
maschile sulle donne -in particolare
quella che avviene in ambito domestico (maltrattamenti, stupri, persecuzioni,
omicidi, ecc.)- è stato, negli ultimi sei anni, al centro di grandi
manifestazioni nazionali, oggetto di dibattiti, appelli, documenti, ricerche,
iniziative cittadine, da parte delle componenti più varie dell’impegno
femminile.

Il fenomeno, come apprendiamo purtroppo dalle cronache quotidiane,
non è diminuito,  anzi, è aumentato
sommandosi alla violenza omofobica contro la libertà di scelta sessuale, mentre è invece inspiegabilmente scomparso
dall’agenda del movimento delle donne nel momento stesso in cui stanno per
essere chiusi, per mancanza di finanziamenti, alcuni centri antiviolenza. 

Senza aspettare che sia la
ricorrenza del 25 novembre a ricordarcelo, è perciò necessario che il tema venga
ripreso e affrontato per la gravità che
riveste e l’ampiezza delle implicazioni, private e pubbliche, che vi sono connesse.

Nella speranza che il
movimento nato dalle piazze del 13 febbraio  non voglia attestarsi soltanto su posizioni
rivendicative, cancellando il mutamento profondo che dagli anni ’70 in avanti il femminismo ha
portato alla concezione tradizionale della politica, è importante perciò che,
prima di definire un’agenda fatta di obiettivi,
proposte specifiche, articolate su
diversi piani, si faccia chiarezza sulle interpretazioni che hanno impedito
finora di affrontare in tutta la sua complessità e ambiguità una violenza che
sembra legata fatalmente alle vicende più intime del rapporto tra i sessi
(sessualità, amore, maternità, affetti famigliari):

1. la
lettura in chiave di devianza o patologia individuale, e non come
residuo dell’antico potere patriarcale di vita e di morte su donne, schiavi e
figli;

2. l’uso
in chiave sicurezza pubblica e di conflitto di civiltà, cioè contro i
costumi barbarici di questo o di quello ‘straniero’;

3. l’idea
che si possa arginarla con politiche di tutela
familiare
, senza tener conto che sono proprio i vincoli familiari a tenere
ambiguamente confuse protezione e aggressività.

Un altro passaggio importante è non
isolare la violenza nelle sue forme manifeste da quella che passa e si perpetua
invisibile attraverso la cultura
maschile dominante -istituzioni, saperi,
linguaggi, habitus mentali, norme morali, mezzi di comunicazione, ecc.- , una
rappresentazione del mondo che le donne stesse hanno, loro malgrado, interiorizzata
e fatta propria. Rientra nella violenza
simbolica o culturale
anche la difficoltà a vedere il rapporto di potere
tra uomo e donna per la valenza politica che ha in sé, per cui persiste la
tendenza a porlo come “questione femminile”: le donne viste come un gruppo
sociale omogeneo, portatore di uno “svantaggio” storico da colmare, o di un
“talento” da valorizzare quanto merita. In altre parole: un sesso debole da tutelare,
o una risorsa salvifica, una visione tutta interna alle “differenze di genere”
così come sono arrivate fino a noi, le stesse sulla base delle quali è avvenuta
la divisione tra privato e pubblico, la complementarizzazione e la
subordinazione del ruolo femminile a quello maschile.

L’identificazione della donna con il
corpo, la funzione sessuale e riproduttiva, e quindi la sua cancellazione come
persona, è la ragione prima della sua esclusione dalla polis, ma a sua volta, è
la violenza implicita in questa privazione di spazi essenziali di spazi di
libertà e di potere decisionale ad avere pesanti ricadute negative sulla vita
delle donne: dai gesti quotidiani di disvalore alla persecuzione violenta di
quelle che tentano gesti di autonomia.

 

Misure efficaci

 Lo svantaggio sociale femminile cristallizzato
nella famiglia tradizionale è all’origine della violenza maschile che alligna
nel privato e si espande nel pubblico anche grazie alla mercificazione
mediatica del corpo femminile, usato come elemento eccitante di promozione
vendite in senso lato.

Lo
svantaggio politico percepibile in una democrazia a-partecipata e monosessuata
determina il quadro e lo completa.

Ecco
perché la violenza sessista, anche domestica, non può mai essere un fatto
privato, ma è un’indecenza pubblica che le istituzioni non possono ignorare o
mistificare attraverso la scorciatoia dell’utilizzo del diritto criminale come
risposta esclusiva o preponderante.

A ben altri livelli occorre agire per sradicare questo grumo di
violenza ancestrale, sedimentato nell’immaginario maschile, che va contrastato
a partire dai primissimi messaggi che i bambini ricevono dalla famiglia, dalla
scuola e dalla società.

 Le
misure suggerite dall’esperienza ben più seriamente strutturata in altri Paesi
europei (vedi Legge spagnola del 2004) partono appunto da un piano di
acculturamento e sensibilizzazione fin dalla prima infanzia per il cambiamento
delle relazioni fra donne e uomini, in ogni contesto del vivere associato.

Si
sviluppano attraverso piani scolastici multilivello e una legislazione
onnicomprensiva che evidenzia l’origine sessista e discriminatoria della
violenza contro le donne e la previene attivamente, contrastando esclusioni e
pregiudizi .

Si
concretano attraverso una vigilanza costante e un monitoraggio dei risultati,
attivando interventi correttivi e provvidenze pubbliche adeguate.

Prevedono,
oltre alla visibilità del problema, ritenuto di interesse generale, ruoli
attivi delle istituzioni pubbliche centrali e locali, gravate delle connesse responsabilità.

 

Proposte iniziali

In concreto, sull’esempio di ciò che si fa in altri Paesi, pensiamo si
debba promuovere un piano nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della
violenza di genere, incentrato su specifiche iniziative, tra cui qui citiamo:

· un programma di educazione/formazione
sull’esercizio di diritti e obblighi uguali fra maschi e femmine nell’ambito
sia privato che pubblico che si sviluppi fin dal livello scolastico elementare;

· il lancio di campagne pubbliche di
sensibilizzazione contro gli stereotipi dei ruoli familiari femminili;

· la promozione di azioni positive per la
eguaglianza di genere in tutti i campi del vivere associato (politico,
economico, culturale), da rispettare rigorosamente (e la cui inosservanza venga
sanzionata);

· il reintegro dei fondi incredibilmente
sottratti ai Centri antiviolenza e alle Case delle donne, fondi che andrebbero
al contrario aumentati per rafforzare le
équipe che vi operano con varie professionalità a collaborazione integrata;

· l’istituzione di un Osservatorio indipendente
di monitoraggio sui diritti delle donne e di vigilanza sui mezzi di informazione
e pubblicità, a garanzia di un trattamento conforme ai valori costituzionali e
alla dignità personale delle donne.

Riteniamo dovere principale di tutti gli
schieramenti politici e dei singoli che si candidano per ruoli istituzionali in
Italia e in Europa l’elaborazione e il perseguimento concreto di un piano
integrato per la soluzione di questa incancrenita piaga sociale. Ma quel che ci
preme di più è la presa di responsabilità da parte di tutte le donne impegnate
in un ruolo istituzionale: a loro chiediamo esplicitamente di proporre, seguire
e curare a ogni livello le misure necessarie a questa improrogabile svolta di
civiltà.

Anche su questa base, che intendiamo verificare nelle fasi di
ideazione e di realizzazione, si decideranno le nostre scelte politiche future.

 

Lea Melandri  Maria
Grazia Campari

Associazione per una Libera Università delle donne di Milano