IL VATICANO II E LA DONNA: UN DIALOGO POSSIBILE?

di Eduardo Hoornaert

1. UNA LUNGA STORIA
Fin dai suoi inizi, il cristianesimo storico ha avuto difficoltà a comprendere il comportamento di Gesù con le donne. Diversi testi dei vangeli mostrano ammirazione, ma allo stesso tempo lasciano trasparire lo sconcerto. Gli stessi apostoli non intendono il modo in cui Gesù tratta le donne. Pietro, uno dei suoi compagni più vicini, non tollera che una donna sia inclusa tra gli apostoli su un piano di uguaglianza rispetto agli uomini, come si può leggere nel vangelo apocrifo di Maria Maddalena. A causa di questa e di altre difficoltà, il cristianesimo storico presenta una memoria precaria e anche deformata del comportamento di Gesù nei confronti delle donne. Maria Maddalena, la più prominente figura femminile del Nuovo Testamento, viene sistematicamente maltrattata nei sermoni della Chiesa, abbassata com’è al rango di prostituta e di peccatrice pentita. Tale criminalizzazione simboleggia, in realtà, l’abbassamento della figura della donna in generale nella tradizione cristiana. Ma non è solamente la cultura cristiana a discriminare la donna. La maggior parte delle culture ne è ugualmente coinvolta e resterebbe scandalizzata allo stesso modo di fronte al comportamento di Gesù, il quale apprezzò il profumo e l’affetto di una donna dichiarando che la memoria di questa tenerezza si sarebbe perpetuata «dovunque sarà predicato questo vangelo» (Mt 26,12). Tale memoria ha sempre trovato resistenza nel seno del cristianesimo storico, come probabilmente la troverebbe nella maggior parte delle culture.
2. EMERGE UNA NUOVA COSCIENZA FEMMINILE
Dopo secoli di silenzio e di sottomissione, la donna del XX secolo, finalmente, invia segnali di rottura con il passato. In ambito cattolico, è negli anni ’40 che appaiono i primi discreti indizi di un cambiamento nell’universo femminile: le madri non mandano più i figli alla messa domenicale con la stessa fedeltà di prima. Ciò si ripercuote immediatamente sulla Chiesa, per quanto quasi nessuno percepisca quanto sta succedendo.
Quando, nel 1943, p. Henri Godin, nel suo libro Francia, Paese di missione?, constata con amarezza come la Francia non sia più il Paese cattolico di un tempo, egli non sospetta che la donna abbia a che vedere con questa scristianizzazione. Lo stesso avviene al sociologo Gabriel Le Brass, il quale attribuisce il calo della partecipazione alla messa allo stile di vita della grande città, alla perdita della fede e alla secolarizzazione, senza parlare del ruolo giocato dalla donna. E quando negli anni ’60 si constata un rapido calo delle vocazioni al sacerdozio, non si coglie neanche qui il nesso con il cambiamento intervenuto nella relazione tra colui che ha la vocazione e sua madre. I primi studi che portano a questa direzione risalgono agli anni ’90. È nel silenzio dell’universo femminile che si opera la decostruzione della Chiesa.
All’inizio degli anni ’60, nel momento in cui Giovanni XXIII pensa di convocare un concilio, la disobbedienza femminile, all’improvviso, acquista notorietà: entra in scena la pillola anticoncezionale e il suo successo è immediato. La donna prende atto che i ritmi delle energie procreatrici del suo corpo, se non vengono controllati, ostacolano la qualità della vita a cui lei e la sua famiglia aspirano. I cicli sempre ripetuti della gravidanza, la nascita del bambino, i lunghi tempi dedicati al neonato, i lavori domestici, la preparazione dei pasti, le attenzioni al marito… non le lasciano lo spazio per realizzarsi pienamente, a differenza di quanto succede all’uomo, il quale, dopo l’atto sessuale, rimane “libero”. Permessa negli Stati Uniti nel 1960, la pillola conquista il mondo in pochi anni. Ne sono già passati 50. Oggi, nel mondo intero, centinaia di milioni di donne ricorrono alla pillola o ad altri metodi contraccettivi (…). L’Organizzazione delle Nazioni Unite approva ufficialmente la pianificazione  familiare ritenendola utile alla salute e al benessere della donna, dei figli e della famiglia (Conferenza del Cairo, 1994). Ci troviamo di fronte all’emergere di un pensiero autonomo, in contrasto con il pensiero eteronomo fino ad allora vigente. Viene elaborata una nuova architettura dello Stato al fine di promuovere la salute, l’educazione, il benessere delle famiglie, come pure la cura medico-ospedaliera basata sull’idea della regolazione delle nascite. «È una rivoluzione di dimensioni planetarie», commenta Rose Marie Muraro. L’idea della pianificazione familiare è un’idea genuinamente femminile, che mette in movimento la più grande rivoluzione del XX secolo, una rivoluzione silenziosa che si realizza nell’intimità delle case, nel dialogo intimo tra l’uomo e la donna, lontano dai pulpiti, dalle cattedre accademiche e dai dibattiti pubblici. Controllando la fecondità, gli anticoncezionali permettono alla donna di entrare nel mercato del lavoro alla pari dell’uomo. Da quel punto in poi, il suo corpo non dipende più dalla fatalità dei cicli della procreazione e si libera a poco a poco dalla volontà maschile. La pillola inaugura un tempo nuovo, non solo per la donna, ma per la società come un tutto. Le relazioni di genere e di lavoro si trasformano profondamente. (…).
Poiché nella stessa epoca ha inizio il Concilio Vaticano II, vale la pena chiedersi se vi sia un’interazione tra i due eventi. Il movimento a favore della liberazione del corpo femminile ha qualcosa a che vedere con l’aggiornamento di papa Giovanni XXIII? I vescovi riuniti a Roma avranno preso coscienza di quanto stava avvenendo nell’universo femminile e avranno cercato di stabilire un dialogo con le donne?
3. PERCHÉ IL VATICANO II DISCONOSCE LA DONNA?
Sappiamo che le donne non sono invitate a parlare nei concili ecumenici, ma che influiscono, questo sì, nei loro destini. Mentre i vescovi del Vaticano II tentano di comprendere le ragioni della scristianizzazione, esse operano a livello di base, sciogliendo lacci secolari e, in tal modo, svuotando le chiese. Mentre i teologi parlano di secolarizzazione, ateismo, consumismo, individualismo ed edonismo, esse introducono comportamenti autonomi nel cuore del vecchio mondo segnato da secoli di eteronomia. Certamente, Giovanni XXIII era consapevole del fatto che le chiese di Parigi, dove era andato come nunzio, si stavano svuotando. La sua diagnosi sulla distanza della Chiesa dal mondo moderno era corretta. Quello che gli mancava era di andare al fondo della questione. In tal modo, il Vaticano II svolge certamente un buon lavoro, come sottolinea José Oscar Beozzo, ma non riesce ad identificare chiaramente l’ideologia eteronoma propria della Chiesa. E se ne comprende la ragione.
L’immaginario della Chiesa cristiana proviene, in ultima istanza, dalla Bibbia, elaborata in un mondo dominato dalle strutture eteronome. Il re (o imperatore) domina sul popolo, il signore domina sullo schiavo (lavoratore), l’uomo domina sulla donna, il padre domina sui figli e Dio domina su tutti (e tutte). L’intera vita è concepita in termini di eteronomia: c’è sempre un altro che comanda. La vita umana è sempre in mani altrui. L’eteronomia costituisce il più antico e duraturo modello di convivenza umana, che caratterizza regimi politici, economici, sociali, culturali e psicologici. Nella Bibbia, Dio appare come un essere onnipotente, santissimo, assiso sul trono celeste, che ha creato l’universo in pochi giorni e governa la sua creazione nello stesso modo in cui un re controlla i suoi immensi territori; che conserva tutto ciò che accade in una memoria infinita (migliore di quella del computer più potente) e giudica tutto come il più giusto dei giudici, che premia il bene e castiga il male, a volte già qui sulla terra, ma sicuramente dopo la morte, nella vita eterna. Dio a volte appare come Signore rigoroso e giusto, altre volte come Padre amorevole che tutto perdona. Ma è sempre fuori dal mondo in cui viviamo. Nei due primi versetti della Bibbia appare un’immagine nitidamente eteronoma di Dio: da un lato la luce, il soffio, la vita; dall’altro il vuoto, la solitudine, l’oscurità e la morte. «In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gn 1,1-2).
Ammettiamo pure che gli studiosi della Bibbia cerchino di svincolarsi dall’immagine di Dio che appare nel testo citato del Genesi. Ciononostante, l’idea eteronoma è così radicata nel subconscio delle persone e dell’istituzione da affiorare alla coscienza solo in rari casi. La storia, tuttavia, avanza. Decisivo è stato, sul piano politico, il passaggio a regimi democratici e autonomi negli ultimi 200 anni. Ma è sul piano scientifico che l’idea dell’autonomia realizza i suoi maggiori progressi. Gli scienziati scoprono sempre di più che il mondo è autoregolato, basato su leggi segnate da una logica interna. Non c’è più bisogno di miracoli “al di fuori delle leggi naturali”, poiché in ogni istante il miracolo è lì, davanti agli occhi e dentro il corpo. E un altro passo avanti è dato dalla “trasformazione linguistica” che oggi determina una nuova maniera di parlare di Dio e delle cose divine.
4. LA DONNA E IL VESCOVO
A questa altezza è bene valutare cosa ci sia di realmente nuovo nel comportamento della donna che pratica la pianificazione familiare. Il nuovo consiste nel fatto che la donna non è più soggetta a una volontà esterna, ma dipende dalla propria volontà, sintonizzata con il pensiero moderno fondato sull’autoregolazione delle leggi che reggono l’universo. La percezione sempre più chiara della regolarità delle leggi interne dell’universo ha come risultato la nascita di atteggiamenti di autonomia. Conseguentemente, la donna stabilisce una nuova relazione con il suo corpo, verificando, ad esempio, che esso risponde a determinati stimoli chimici capaci di inibire la gravidanza. E acquisisce a poco a poco e quasi impercettibilmente un comportamento autonomo. (…).
Attraverso la pianificazione familiare, la donna cambia le strutture della società e dell’istituzione religiosa. Di più: lottando per una famiglia che possa godere di una migliore qualità della vita, grazie alla regolazione delle nascite, la donna cambia la stessa immagine di Dio, tracciandone una nuova più conforme alle leggi dell’autonomia. I progressi scientifici a favore della vita rivelano il santo mistero chiamato Dio. Per questa donna, il Dio ecclesiastico si va diluendo all’orizzonte nel momento stesso in cui emerge un Dio che corrisponde alle leggi interne e all’autonomia dell’universo e dell’umanità. Per lei, ciò che va in direzione di una migliore condizione di vita è santo. Nella misura in cui il mondo diventa più felice, la pillola è santa. Allora, la donna emancipata mette in discussione la Chiesa, come si può constatare ovunque.
Passare dal pensiero eteronomo al pensiero autonomo è più complicato per i vescovi. Tanto per coloro che sono personalmente aperti ai nuovi tempi quanto per quelli che restano inquadrati in una struttura fondata sull’eteronomia. È quanto avviene nelle rinnovate “guerre sante” sulla questione dell’aborto. Prendiamo il caso paradigmatico di Recife, dove, nel marzo del 2009, in una clinica della città, si effettuò l’interruzione di gravidanza su una bambina di nove anni. Mons. José Cardoso Sobrinho, all’epoca arcivescovo di Recife, scomunicò immediatamente i medici che avevano praticato l’aborto, giustificandosi con il fatto che stava seguendo le leggi della Chiesa. In tal modo, il vescovo fece ricorso all’idea dell’eteronomia. La Chiesa dice di essere “a favore della vita, contro la cultura della morte”, ma non sa come affrontare i casi concreti relativi all’aborto. Certamente, il vescovo raccomandò di avere compassione della bambina violentata dal padrino, ma nulla disse riguardo all’esistenza di centinaia di cliniche clandestine in Brasile, dove si praticano aborti che uccidono ogni anno migliaia di donne. Il vescovo chiese comprensione e preghiere per le povere donne che ricorrono a tali cliniche, ma non poteva andare oltre, poiché le questioni concrete legate all’aborto possono essere risolte solo per mezzo di azioni basate sul principio dell’autonomia.
La società deve mostrarsi capace di affrontare con realismo i problemi che le si presentano. Non basta dire alle donne che vogliono abortire di mettersi nelle “mani di Dio” e di obbedire ai suoi divini disegni. Mons. José poteva anche sognare una Chiesa santa in mezzo al libertinaggio del mondo e agli errori del secolo, una cittadella di Dio come quella che descrive S. Agostino nella sua opera De Civitate Dei, ma questo sogno non risponde alla realtà. Il postulato della santità della Chiesa è un’elaborazione teologica del IV secolo, basata sull’avvicinamento della Chiesa dell’epoca al sistema imperiale romano, e sui metodi utilizzati per impressionare le persone. Anche così, l’immagine di una Chiesa santa, intoccabile e inconfutabile è ancora così potente ai nostri giorni da poter sedurre vescovi e papa. Atteggiamenti come quello di mons. José Cardoso, insomma, creano inutilmente cortocircuiti che ostacolano il procedere del pensiero cristiano nel mondo in cui viviamo.

5. COME USCIRE DAL CORTOCIRCUITO?

Per la Chiesa non è facile abbandonare l’immaginario dell’eteronomia. Anche i testi più innovatori del Vaticano II sono formulati per mezzo di immagini ereditate dal passato biblico, senza la dovuta lettura critica. Oggi non c’è una via al di fuori del dialogo con la modernità. Prepararsi a tale dialogo implica, in primo luogo, un atteggiamento di autocritica. Per lunghi secoli, la Chiesa cattolica ha dominato la cultura occidentale diventando intoccabile. Appena 50 anni fa, all’apertura del Vaticano II, il dominio del pensiero cattolico sulle coscienze era ancora così potente che la critica a un rappresentante della Chiesa cattolica era quasi come criticare Dio stesso. La Chiesa si riteneva superiore a tutte le altre organizzazioni.

Recentemente, però, quando è emerso lo scandalo della pedofilia del clero, ci si è resi conto che la Chiesa non è così santa come il papa e i vescovi vorrebbero che fosse. I sacerdoti sono umani (a volte troppo umani), fatti di una materia comune a tutti gli esseri umani. Di fronte alla pedofilia, per esempio, la mentalità moderna non sopporta più i metodi di intimidazione, occultamento e manipolazione che venivano ancora accettati dai nostri nonni e dai nostri padri in un passato non molto lontano. La nostra percezione di cosa sia una società democratica, egualitaria e giusta si va perfezionando e un numero crescente di persone ritiene che non vi sia niente di più lodevole di una società che cammini in direzione della democrazia e della libertà. Tutti i cittadini sono soggetti alla legge. Nessuna istituzione è al di sopra della legge civile.
In secondo luogo, non è bene drammatizzare né esacerbare i sentimenti. Espressioni di ostilità come mentalità medievale, oscurantismo, fanatismo, da un lato, e ateismo, agnosticismo, abbandono della fede, dall’altro lato, non possono far altro che ritardare il processo. Farsi reciprocamente la guerra non porta a niente. Solo tramite uno studio sereno e la percezione delle vere dimensioni del problema è possibile avanzare. Pensare liberamente non significa abbandonare la fede. Non parlare di re e di regine, di signori e di santità, di troni e di potestà… non significa tradire il vangelo. Accompagnare l’evoluzione delle scienze, della politica e della società di oggi non è come smettere di essere cristiani. San Paolo non smise di essere ebreo quando scrisse: «Noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, giudei e greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito» (1Cor 12:12,13).
In questi versetti Paolo scrive che tutti siamo fatti della stessa materia umana e allo stesso tempo animati dallo stesso soffio di Dio, che si sia ebrei o greci, uomini o donne, vescovi o semplici fedeli, eteronomi o autonomi. Le donne che praticano la pianificazione familiare sono fatte della stessa materia umana dei vescovi che le rifiutano. Non si può dire che la pianificazione familiare sia una questione di fede. Se per tanti secoli abbiamo parlato di Dio in termini di eteronomia, perché non dovrebbe essere possibile oggi parlarne in termini di autonomia? La modernità religiosa consiste nel passaggio da un’antica immagine di Dio, ereditata dalla Bibbia, all’immagine di un Dio che trova la sua autoespressione nell’universo in cui viviamo. Non c’è nulla di drammatico in questo passaggio, nulla che sia impossibile. Chi vive sintonizzato con il tempo presente, comprende come tutte le energie cosmiche visualizzino, in modo a volte sconcertante (ma sempre ammirevole), quel mistero che oltrepassa la nostra comprensione e a cui diamo il nome di Dio. Oggi è nella figura di un universo in continua gestazione che si intravede il volto di Dio.
Termino questo articolo citando un testo della teologa Ivone Gebara scritto in occasione di quanto avvenuto nel marzo del 2009 a Recife:
«I vescovi passano sopra la fede della comunità cristiana. Si comportano come se fossero gli unici portavoce del vangelo di Gesù e disconoscono il senso evangelico dei fedeli. Pretendono di essere gli avvocati di Dio, ma si fanno scismatici in relazione alla comunità dei cristiani cattolici, vale a dire che rompono con gran parte di essa in diverse situazioni. Questi vescovi non temono di incentivare, all’interno della Chiesa, una guerra santa in nome di Dio per salvaguardare cose che essi giudicano essere volontà e prerogativa di Dio. Ebbene, la tradizione cattolica non ha mai permesso che alcun fedele (incluso il vescovo) parlasse in nome di Dio. Il sacro mistero che attraversa tutto ciò che esiste è inaccessibile ai nostri giudizi e alle nostre interpretazioni. Il mistero che abita in tutto non necessita di rappresentanti dogmatici per difendere i propri diritti. La nostra parola è niente di più e niente di meno che un balbettio approssimativo fatto di idee mutevoli e fragili, anche sull’ineffabile mistero. Le comunità cristiane, così come le persone, sono plurali. La comunità cristiana è più della Chiesa gerarchica. È plurale, ossia composta da molteplici comunità cristiane, le quali sono ugualmente fatte di molte persone, ciascuna con la sua storia, le sue scelte e le sue decisioni di fronte alla vita. È urgente che la teologia dei vescovi esca da una concezione gerarchica e dualista del cristianesimo e comprenda come sia nella vulnerabilità dei molteplici dolori umani che possiamo farci più prossimi alle azioni di giustizia e di amore. È chiaro che potremo sempre sbagliarci. È questa la fragile condizione umana. Credo che nel nostro intimo si avvertano in primo luogo i dolori immediati, le ingiustizie contro corpi visibili e che siano questi che abbiamo prima di tutto il dovere di assistere. La Chiesa è l’umanità che si aiuta a sopportare il dolore, ad alleviare la sofferenza e a celebrare la speranza. Di fatto, si sta costruendo e sta crescendo sempre più in diversi Paesi uno scisma storico. La distanza tra i fedeli e la gerarchia cattolica è pronunciata. Nella misura in cui quelli che si ritengono responsabili della Chiesa si allontanano dall’anima del popolo e dalla sua sofferenza reale, si stanno gettando le basi di un nuovo scisma che accentuerà ancora di più l’abisso tra le istituzioni della religione e la vita quotidiana con la sua complessità, le sue sfide, i suoi dolori e le sue piccole gioie. Le conseguenze di uno scisma sono imprevedibili. Basta apprendere le lezioni della storia passata».
Piene di un profondo sentimento di solidarietà con i dolori delle donne che passano per la prova dell’aborto, le parole di Ivone Gebara sono moderne, femministe, autonome. Meritano di essere lette con attenzione da quelle dirigenti cattoliche che vogliano promuovere una felice esperienza umana nel presente.
da Adista documenti del 3 marzo 2012