“Siria: fitto mistero sulla scomparsa di padre Dall’Oglio” in Adista del 26/08/2013

37272. DAMASCO-ADISTA. Non si può scrivere della vicenda – non risolta al momento in cui scriviamo – della “scomparsa” di p. Paolo Dall’Oglio senza aggiungere la parola “forse”. Di certo c’è solo che il gesuita, auto-naturalizzatosi siriano dopo trent’anni trascorsi in quella terra (v. Adista nn. 9/11 e 24/12), era cosciente dei rischi che correva se, prima di iniziare la sua missione di dialogo sullo scadere del mese di luglio, dalla città siriana di Raqqa, che è in mano alle forze d’opposizione, ha avvisato: se non avrete mie notizie entro una settimana, preoccupatevi seriamente della mia sorte. Forse intendeva mediare per i due vescovi ortodossi sequestrati e mai più riapparsi, il metropolita greco-ortodosso Boulos al-Yazigi e il metropolita siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim (v. Adista Notizie n. 17/13) e, chissà, per i due sacerdoti, Michel Kayyal, armeno cattolico, e Maher Mahfouz, greco ortodosso, rapiti all’inizio dello scorso febbraio (v. Adista Notizie n. 7/13): mons. Timotheus Matta Fadil Alkhouri, del Patriarcato Siro-Ortodosso di Antiochia, ha sentito che p. Paolo voleva «fare qualcosa per i rapiti».
O forse voleva perorare la causa a lui cara di un’unità strategica delle variegate – e spesso l’una contro l’altra armate – forze di opposizione per portare al successo la lotta contro il potere del presidente siriano Bashar al-Assad, che secondo Dall’Oglio sarebbe la causa di tutti i mali del Paese mediorientale. Sì, ma in ogni caso chi avrebbe incontrato o dovuto incontrare? Pare che avesse appuntamento con Abu Bakr al-Baghdadi, capo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, organizzazione a cui è collegato il Fronte al Nusra, principale forza jihadista e filo-qaedista dell’opposizione, stando a quanto hanno dichiarato all’Ansa (1/8) alcuni attivisti che gli avrebbero fatto valicare il confine tra la Turchia e la Siria.
Ma perché mai lo avrebbero sequestrato, sempre che di sequestro si tratti? Per equilibrismi di potere e trattative insondabili fra le varie anime islamiste (e non solo) anti-Assad? Perché comunque ormai sa dove si trova quel Abu Bakr al-Baghdadi che è ricercato come pochi al mondo in quanto anche capo di Al Qaeda in Iraq? La vicenda del rapimento è quanto meno «anomala», ha rilevato (31/7) il preposito generale della Compagnia di Gesù, p. Adolfo Nicolas: «Sarebbe più facile da capire se lo avesse rapito un gruppo pro-regime, perché padre Dall’Oglio ha sempre parlato in difesa dell’opposizione».
Sia come sia, l’apprensione per la sorte del gesuita è giustificata e generale, manifestata non solo da varie istanze vaticane e gesuite, ma anche dalle autorità del nostro Paese, a partire dalla ministra degli Esteri, Emma Bonino: «Su Dall’Oglio brancoliamo ancora nel buio», ha detto il 9 agosto, poi ripetendolo ad ogni riproporsi delle voci che davano il gesuita ora ormai «giustiziato», ora ancora in vita.
Mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, parlando il 13 agosto ai microfoni della Radio Vaticana, ha raccomandato prudenza più che pessimismo sulla sorte del religioso: «Abbiamo i sequestri di due vescovi, di tre preti, compreso padre Paolo, e di qualche altra persona, e non si sa quale strategia ci sia dietro. Per esempio, per quanto riguarda i due vescovi, a quattro mesi circa dal loro sequestro non si ha nessun contatto ed è lo stesso per quanto riguarda p. Dall’Oglio: dopo due settimane ormai si è in apprensione, perché manca ogni contatto. Occorre dire però che padre Paolo in quella zona era stimato, ma è comunque una zona molto, molto calda in tutti i sensi. Vi operano vari gruppi di diversa tendenza: dai più estremisti ai più moderati, alle volte in disaccordo tra loro. Quindi, non si sa in che mani possa essere ora padre Dall’Oglio. Io tenderei, però, ad escludere, per ora, visto che non c’è niente di concreto, il peggio. Non riesco a immaginare a chi servirebbe una fine tragica di questo rapimento». Comunque, «qui c’è una grande confusione, nella quale si mescolano tanti interessi. Chi sa chi può essersi giovato dal mettere in giro notizie sulla morte del sacerdote? Io consiglierei la prudenza», perché «è difficile verificarle».
Mediazione politica?
Potrebbe anche essere – ipotesi che in questo momento corrisponde più ad un fervido augurio che ad un’analisi dei dati di fatto – che la permanenza del religioso nel silenzio sia una sua decisione, motivata dal condurre una mediazione che, per andare a buon fine, ha bisogno di tempi molto più lunghi di quanto egli stesso avesse previsto, sia che la sua missione abbia fini solo umanitari per la liberazione dei tanti sequestrati, sia che si stia interessando di strategie politiche. Se è così, non può e non deve dare segnali di vita, coordinate che possano farlo rintracciare: Assad e quanti lo sostengono, come anche fazioni rivali fra le file dell’opposizione, avrebbero tutto l’interessere a sopprimere il gesuita, a far fallire la sua missione.
Non è peregrina l’idea che Dall’Oglio stia giocando un ruolo politico. Solo il 19 luglio, una decina di giorni prima della sua “scomparsa”, il gesuita scriveva sul’Huffington post Italia: «Per noi siriani della rivoluzione, la riconciliazione tra forze islamiste radicali e forze democratiche è una necessità strategica. Le scaramucce dolorose e i crimini insopportabili avvenuti tra noi devono trovare soluzione, essere riassorbiti, per presentarci uniti di fronte al pericolo totale rappresentato dal regime, appoggiato direttamente o indirettamente da troppi. Il tentativo di seminare guerra intestina tra le forze anti-Assad (a prescindere dal necessario intercettamento e disinnesco delle derive criminali) deve fallire. Questo gli agenti e i consiglieri militari americani farebbero bene a capirlo subito. Favorire i partner più affidabili, incoraggiare le evoluzioni più auspicabili è buono. Spingerci ad ammazzarci tra di noi non può esserlo».
Il diritto alle armi
L’articolo in questione, poi, è una totale difesa dell’uso delle armi da parte dell’opposizione ad Assad, fossero pure armi chimiche. Si legge in un passaggio: «Guardiamo alla cosa dal punto di vista etico della rivoluzione siriana. Ammettiamo per un istante che ci fossimo appropriati di armi chimiche sottratte agli arsenali di regime conquistati eroicamente. Immaginiamo di avere la capacità di usarle contro le forze armate del regime per risolvere il conflitto a nostro favore e salvare il nostro popolo da morte certa. Cosa ci sarebbe d’immorale? Tutte le armi possibili sono usate contro di noi. È ampiamente dimostrato che il regime fa esperimenti micidiali d’uso delle armi chimiche contro i partigiani rivoluzionari e la popolazione civile, proprio per vedere di superare quella maledetta linea rossa impunemente. Chi volesse profittare della scusa dell’arma chimica usata da noi (noi, si fa per dire!) una volta (e non è affatto dimostrato) contro il regime, dovrà riconoscere di usare un argomento del tutto insostenibile e che gli si rivolge contro. Tutti questi che ci danno lezione di morale militare hanno gli arsenali pieni di nucleare, chimico, biologico e via ammazzando!». Una posizione, questa, non difforme da quella della Chiesa. Scriveva Dall’Oglio: «Con inspiegabile ritardo, la Chiesa si è ormai convinta che la democrazia faccia parte dei diritti inalienabili delle persone umane e che quindi, se da un lato è sicuramente meglio quando la si può difendere e ottenere in modo non violento, resta d’altro canto vero che l’uso della forza per difendere una democrazia in grave pericolo o liberarsi dalla dittatura è legittimo nel quadro dell’insegnamento cattolico».
Alle affermazioni del gesuita “siriano” ha reagito la redazione del sito pacifista Sibialiria.org – in sintonia con il movimento siriano di riconciliazione interconfessionale Mussalaha (v. Adista nn. 25 e 28/12) – inviando una lettera aperta alla direttrice dell’Huffington Lucia Annunziata, il 29 luglio, poche ore prima che si venisse a conoscenza del viaggio che stava per intraprendere p. Dall’Oglio, al quale poi i firmatari, in un successivo comunicato, esprimono ovviamente tutta la loro solidarietà. Crediamo, si legge nella lettera, che «compito di un “operatore di pace”, per di più un religioso, in Siria non possa essere quello di invocare l’uso di armi chimiche per spingere l’Occidente (Israele in primis) e le Petromonarchie ad un intervento ancora più risoluto». «Non entriamo qui nel merito della veridicità degli “esperimenti micidiali d’uso delle armi chimiche contro i partigiani rivoluzionari e la popolazione civile (da parte del regime di Assad)”, che, al di là di qualche “scoop” giornalistico, non è oggi confermato neanche da quelle “commissioni internazionali” o da quegli “organismi dell’intelligence americana” che pure avevano avallato analoghe accuse nei riguardi del regime di Saddam in Iraq». «Siamo sicuri – confida la redazione – che converrà con noi che a questa martoriata nazione venga almeno risparmiato l’orrore delle armi chimiche che il suo collaboratore ritiene, invece, dirimente per convincere l’Occidente ad un risolutivo intervento». «Da parte nostra – assicurano i firmatari – insieme al movimento siriano di riconciliazione interconfessionale Mussalaha, partecipando a delegazioni internazionali come quella dello scorso mese di aprile, presieduta dal Premio Nobel per la Pace Mairead Maguire, e animando il nostro sitowww.sibialiria.org, continuiamo a mobilitarci per cercare di fermare questa guerra e ricostruire quel tessuto di pace e solidarietà che può garantire il rispetto dei diritti democratici e il ripristino di quel mosaico di etnie, culture e religioni che fino a tre anni fa era la Siria».
E tuttavia, se c’è una prospettiva sempre più lontana in Siria, è proprio quella della riconciliazione. Della Conferenza di “Ginevra 2”, già ripetutamente rinviata (v. Adista Notizie nn. 22 e 24/13), non c’è quasi più traccia. Bashar al-Assad, confortato da recenti vittorie militari sul campo, il 5 agosto parlando alla nazione ha eliminato ogni ipotesi di rilancio dei negoziati di pace: «Questa opposizione non è affidabile», ha detto; «l’unico modo per giungere a una soluzione del conflitto è schiacciare il terrorismo, reprimendolo con mano di ferro». Sull’altro versante, il neo presidente della coalizione dell’opposizione siriana Ahmad Jarba, eletto il 5 luglio scorso, ha ribadito che l’opposizione non andrà alla conferenza di pace a Ginevra fino a quando non rafforzerà la sua posizione militare, cosa che spera avvenga in tempi brevi, visto che, ha assicurato, arriveranno presto armi saudite ai ribelli. (eletta cucuzza)