Costituzione e genere

di Giancarla Codrignani

Il primo intervento di una donna alla Costituente fu quello di Angela Guidi Cingolani. Tra l’altro ebbe a dire “peggio di voi non faremo”. Furono e sono brave, anche a tacere, come quando si preferì soprassedere alla richiesta che la parità fosse resa esplicita anche per la magistratura. Aspettarono il 1963.

Anche quando cresce il numero delle elette, non diminuiscono di molto le difficoltà (e non è un caso che sia il Rwanda il paese che vanta il più alto numero di donne in Parlamento), senza che nessuno si accorga di benefici di genere.

L’uguaglianza attualmente prevede l’omologazione al valore neutro della persona, che resta giuridicamente sempre riferita, in titolarità, ai “diritti dell’uomo”. Scenario già visto all’assemblea costituente della rivoluzione francese, con doverosa commemorazione di Olympe de Gouges. Oggi il concetto non può più ignorare le differenze (non solo quella uomo/donna), ma stessa morfologia del linguaggio denuncia limiti e contraddizioni risalenti a logiche che giustificano le gerarchie di potere.

Anche la nostra, peraltro splendida, Carta costituzionale non è immune da complicità sessiste. Infatti,dopo aver definito (art.36) i diritti del cittadino lavoratore, dedica un apparente articolo fotocopia alla donna lavoratrice per dire che “ha gli stessi diritti…che spettano al lavoratore”, ma che “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare” che evidentemente è attualmente sottratta all’uomo (che non se ne è mai lamentato) per non dare alla donna la pari titolarità di diritti.

A “tutela” della cittadinanza femminile sarebbe dunque necessaria la rappresentanza dei suoi diritti e interessi, attualmente ancora comprimibili nell’omologazione.

Evidentemente non basta dire che per la Repubblica “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge,senza distinzione di sesso” se poi si è riformato l’art. 51 (la prima parte, quella dei principi) per fargli dire che ai fini della partecipazione alle liste elettorali, “la Repubblica favorisce (e non garantisce) le pari opportunità (e non i pari diritti) delle donne.