Pellegrini nei deserti del mondo contemporaneo. Intervista a Cristina Simonelli in Città Nuova.

Pellegrini nei deserti del mondo contemporaneo

24-11-2013  a cura di Aurelio Molè

fonte: Città Nuova

Si conclude oggi con la celebrazione in piazza San Pietro l’Anno della fede voluto da Benedetto XVI. La scommessa della fede nelle riflessioni di Cristina Simonelli, presidente del coordinamento delle teologhe italiane. Le ragioni e un bilancio di quest’anno particolare

Pellegrini in piazza San Pietro per l’Anno della fede

Quali, secondo Lei, le ragioni per cui Benedetto XVI ha indetto un Anno della Fede?

«Credo che vi si possa intravedere una ragione di successione di temi e una ragione più profonda. Quanto alla prima, la successione s’intravede nella scansione delle encicliche sulla base delle virtù teologali, carità, speranza e fede. Quanto alla seconda, mi sembra che risponda alla scommessa profonda di Benedetto XVI, che vede nella fede, anche come contenuto della fede creduta, un punto fondamentale. Proprio in questo senso tuttavia sarebbe opportuno uscire dalla visione dottrinale, non per eliminarla, ma per ricollocarla in più proporzionato ambito, che la leghi strutturalmente alla fede/fiducia, alla benevolenza “per il mondo”, alla speranza e alla carità. Aver fatto coincidere l’anno ad esempio con la promozione del catechismo non ha fatto del bene ed è distante anche dalle acquisizioni teologico/fondamentali e bibliche sulla rivelazione che non coincide con “asserti dottrinali”».

Come dobbiamo leggere la rinuncia di papa Benedetto XVI, proprio nell’Anno della Fede da lui indetto?

«Difficile mettere in sequenza di causa/effetto questi eventi. Certo il bellissimo e inaspettato discorso con cui ha, secondo il codice di diritto canonico e dunque seguendo una prassi già pensata come possibile seppur non prima attuata, rinunciato è un momento di fede/affidamento che integra, appunto, la carità come responsabilità per una situazione ecclesiale complessa e la speranza che in Dio riposa la possibilità e il futuro».

Come far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo?

«Credo che la proposta sia quella di sempre: cercando di convertirci al Vangelo, come dice la Scrittura: “Per nostra colpa il nome di Dio è bestemmiato tra le genti”, e di porre gesti di giustizia e solidarietà; di essere donne e uomini la cui fede è inesausta ricerca perché la meta sorpassa infinitamente il poco che siamo e sappiamo; di avvicinarci “al mondo” benedicendo e non lanciando condanne e anatemi. Il Dio della pace che sorpassa ogni conoscenza custodirà i nostri cuori e i nostri pensieri in Cristo Gesù».

Che momenti ricorda? Le restano dei «grandi eventi» dell’Anno della fede?

«Non sono molto affine ai “grandi eventi”. Ricordo, tra l’altro, la ripresa del Vaticano II, come memoria per il futuro».

Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo. In che senso si è realizzato?

«Una cosa così non si “realizza”: inizia e prosegue, come è proprio del tema del deserto, che biblicamente è il luogo della prova, ma è anche il luogo dell’alleanza, dell’amore della giovinezza, del cammino inesausto e della speranza. La fede è esodo: cammino e sequela. Non si tratta di opporre, come dire “colombe a falchi”, ma di andare per il mondo, mi permetta di citare una filosofa della differenza, Luisa Muraro: “Come Elisabetta, che va incontro al mondo e lo vede incinto del suo meglio”. Non è ingenuità, ma “fede che si invera nell’agape”, sguardo della trasfigurazione che riconosce anche l’insegnamento che viene “dal mondo” e intravede anche nelle difficoltà reali grida di dolore, ma anche fermenti di vita, grembi per Dio».

Aurelio Molè