Editoriale [ Le suore domandano, papa Francesco risponde. La rete CTI e il diaconato ]

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di Cristina Simonelli

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Mentre le voci si fanno coro e si moltiplicano i commenti, dai più documentati fino alle esternazioni estemporanee, è cosa buona ricostruire la trama su cui il dibattito attorno al diaconato femminile si sta svolgendo, con alcune osservazioni.

Le domande delle superiore generali erano molto più ampie e, come sottolinea Carmen Sammut, presidente UISG (= Unione Superiore Generali), riguardavano il ruolo delle donne, ma anche ad esempio la questione del denaro, cui il papa ha risposto nonostante fosse stata scritta ma espunta dalla lettura. Così come Francesco ha ancora invitato a distinguere il servizio dalla servitù imposta sotto pretesto di umiltà e femminile attitudine di cura. Tutto il dialogo immediatamente, nella attenzione pubblica, è stato sequestrato dalla apertura a aprire il dibattito su donne e diaconato: non è un caso ma fa capire che i tanti, troppi rifiuti a discutere la questione in questi 50 anni non sono per niente condivisi nella comunità ecclesiale – e non solo dalle donne, consacrate o meno, ma anche da molti uomini. Si può finalmente dire che è ora di aprire questo discorso, e si deve tuttavia anche ripetere che da molto tempo vi sono studi importanti sul tema: nonostante sia tarda, l’ora è comunque certo benvenuta.

Le domande delle suore utilizzavano di fatto espressioni di Francesco, chiedendogli in fondo quali conseguenze pratiche se ne potessero trarre. Dunque, domande e risposte condividono lo stesso quadro interpretativo, che come spesso già accaduto contiene sia novità e desiderio di riforma, che fantasmi sul femminismo e il genio femminile, ma non manca di allargarsi a chiedere «la costituzione di una commissione ufficiale per studiare la questione» del diaconato permanente per le donne, «come nella chiesa primitiva». Sugli argomenti che distinguono processi decisionali e ministeri ordinati, nonché sulla singolare lettura fisicista dell’in persona christi, siamo già intervenute quando è uscita Evangelii gaudium (http://www.teologhe.org/editoriale-luce-in-ogni-cosa-dicembre-2013/). Notiamo solo qui che come si è tentato di riconsiderare la prassi, la disciplina e la teologia delle famiglie, non si potrà ancora rimandare una dibattito altrettanto articolato sul ministero, tutto, che non può rimanere immobile mentre ogni cosa intorno si muove.

Due altre questioni sono particolarmente significative e degne di riflessione: il richiamo all’antichità cristiana e l’affermazione di Francesco che «per il codice [di diritto canonico] non c’è problema, è uno strumento». Per chi si colloca in un’ottica storica, entrambe le affermazioni sono evidenti, ma sembra che non per tutti sia così. Come molte colleghe (Noceti, Perroni, Prinzivalli, fra le altre) hanno sottolineato esistono già molti studi di rilievo – a livello storico insuperato anche a mio parere Moira Scimmi, Le antiche diaconesse nella storiografia del XX secolo. Problemi di metodo, Glossa, Milano 2004. Il problema negli studi “generali” è tuttavia duplice: da una parte molte letture apparentemente documentate hanno fin qui semplicemente espunto o comunque sottovalutato la documentazione sui riti di ordinazione delle diaconesse, sottoponendo le fonti a un tipo di analisi di fronte al quale sarebbe invalidata anche ogni forma ministeriale maschile dei primi secoli. In secondo luogo a livello ufficiale si fa spesso giocare la tradizione su due tavoli a seconda delle “necessità”, torcendo le fonti ora a supporto dell’intangibilità della traditio, ora a difesa della legittimità del suo sviluppo.

Solo alcune note, dunque, per segnalare tuttavia che come avviene da anni il Coordinamento delle teologhe italiane è un contesto in cui confluiscono e si sviluppano gli studi e le riflessioni di molte teologhe e alcuni teologi, anche sul ministero e anche specificamente sul diaconato. Alcune sono delle vere esperte sul tema in discussione (Noceti, Scimmi, Taddei Ferretti), altre hanno dato e danno importanti contributi sul versante esegetico (Perroni). Ogni elenco degli studi sarebbe comunque parziale, nonostante l’aggiornamento della bibliografia sul tema (http://www.teologhe.org/teologia-delle-donne/), così come la newsletter non potrà dare congruo spazio a tutto quello che sta uscendo sui media. Soprattutto però la scopo precipuo del CTI va molto al di là di redigere elenchi. Vuole piuttosto proporre un lavoro in rete in cui ogni personale contributo diventa parte di una fatica collettiva. Anche questo è un modo di uscire dal “clericalismo” e dal “personalismo”, che sono deriva e non destino di ogni forma ministeriale.