Editoriale [ Pasqua 2015: Attendere in Galilea ]

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di Cristina Simonelli
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Di fronte a una situazione internazionale che gronda lacrime e senza correggere ataviche sperequazioni aggiunge fondamentalismo a fondamentalismo, sembra piccolo quotidiano rimanere sui temi che ci sono particolarmente affidati: essere donne e uomini nella chiesa e oltre, i modi per dirlo in uguaglianza/differenza/genere e nei molti post che questa riflessione sta già praticando. E’ tuttavia il nostro poco cui essere fedeli, attendendo un molto che lo supera certamente: quello che siamo… (1 Gv 3,2) ma quello che saremo non è ancora stato rivelato.

Questo piccolo ma irrinunciabile compito ha ancora bisogno di rete: di parole scambiate, di perseverante larghezza, se così possiamo rendere l’avvincente gioco fra costanza e ampiezza di cuore (hypomoné/makrothymia). Ha bisogno inoltre di una forza morbida: che tenta di spezzare i conflitti ma che non coincide assolutamente con evanescente, dolcissima, acritica – infine – inconsistente.

Lo dico perché è sotto gli occhi di tutte/i come la vecchia trappola – almeno la ritengo tale – del femminile riposo dell’eroe, del femminile dolce e comprensivo e, possibilmente, esteticamente apprezzabile (come immagine, ma anche come pagina bella e poetica) non sia per niente fuori moda. Stando in un luogo di “smistamento richieste” di ogni tipo, dagli articoli alle interviste, dagli incontri ristretti alle pubbliche conferenze, posso testimoniare di quante volte, direttamente o come eco di colleghe, arrivi richiesta di qualche intervento, “però non contrappositivo”.

Penso che sia un punto su cui riflettere: non per invidiare chi scrive bene, chi parla affabilmente, chi ha una immagine luminosa, ma per lavorare sullo stereotipo e sulle proiezioni che lascia intravedere: che le (rare, parziali e momentanee) volte che si è sperimentato come complimento si fa apprezzare in tutta la sua forza di sirena e di forse involontaria censura: dopo è più difficile dissentire o comunque assumere una posizione critica. Il carattere mistificante della questione si rivela anche nell’altra faccia della medaglia, che alterna evocazione del femminile, distaccata pubblica ironia e attacchi decisi in luoghi che sembrano privati – come le aule, che sono in realtà molto pubbliche e con orecchi estesi

  • «Femminista non lo voglio neanche sentire dire, per me femminile è dolce e bello»
  • «le tali sono femministe e pensano che la chiesa sia solo conflitto»
  • «fino a prova contraria le riforme nella chiesa le hanno sempre fatte gli uomini e quello che è morto in croce è uomo»
  • «la rivelazione è paterna, perché se fosse materna divorerebbe i suoi figli»
  • fino al mai sufficientemente lodato: «quando una donna scriverà qualcosa che vale la pena leggere, la citerò»

Non evoco questi fantasmi per spirito di vittimismo, ma perché rappresentano un orizzonte realistico, in cui stare, consapevoli che certi nodi profondi e certe resistenze non si superano semplicemente rispondendo o, al contrario, cambiando parole, ma lavorando il tema e se possibile sciogliendo il conflitto: non evitandolo, ma svuotandolo dall’interno, prima di tutto in ognuna/o di noi. Una studentessa mi ha chiesto perché abbiamo dato vita a un’associazione di questo tipo. Ho cominciato da lontano, ma quando sono arrivata al tema della rete di sostegno ha esclamato: «ecco! perché prima in parrocchia andava tutto bene, adesso che ho iniziato a studiare teologia, qualcuno mi prende sempre in giro!». Penso, come le ho detto, che quel qualcuno esprima così il proprio disagio, di genere e di ruolo: non ci possiamo pensare crocerossine pronte a salvarlo, ma certi percorsi, una volta iniziati, è bene proseguirli e, direbbe Zambrano, di certi viaggi si sa solo al ritorno. Chiedono però piedi disposti a farsi i calli, esercizio perseverante, senso di autoironia e magnanimità: appunto, una forza morbida, dono e esercizio.

Questa esperienza di cammino comune ha visto in questo anno molta alacrità, strappata spesso a impegni familiari e professionali di mole incalcolabile: si può vedere nelle pubblicazioni di alcune socie – riportate anche nel sito, sempre con il rischio di tralasciarne qualcuna; si può vedere anche nella precedenza data al lavoro comune, come in Corpo a Corpo [Sui generis 17] che riporta i percorsi del Festival Biblico dello scorso anno, come nello Studio del mese che è stato accolto da Il Regno Attualità [pdf] o nella imminente pubblicazione di Vita Monastica, che raccoglie la Settimana di Camaldoli 2014, Donne e uomini nella Chiesa.

E contiamo che l’ormai vicino Seminario internazionale del 23 maggio prossimo [pdf], con gli interventi di Elisabeth Parmentier e Hervé Légrand possa contribuire a farci uscire da orizzonti che possono essere ristretti, sia per provincialismo congenito che per inveterato confessionalismo.

Questo dunque è per noi posto assegnato, è Galilea in cui attendere, con timore che è serietà e con gioia che nessuno può togliere. E’ Galilea, terra contaminata e mescolata, quotidiano di fatica e di speranza: che non delude [Rm 5,5], per l’agape riversata nelle nostre vite dallo Spirito donato.

Buona-Pasqua-CTI