Resistenza e visioni. Nuove prospettive

di Patrizia Ottone

La dimensione pubblica della teologia è stata la traccia del 15mo congresso dell’ESWTR, l’Associazione europea delle donne nella ricerca teologica, tenutosi a Dresda dal 28 al 1 settembre 2013. Marcella Althaus-Reid scriveva che la teologia pubblica si dà in tempi di disperazione. I teologi e le teologhe si domandano come rispondere in modo efficace alle molteplici forme di esclusione sociale dei nostri tempi: la povertà, il razzismo, il sessismo, l’omotransfobia e il fondamentalismo religioso. La teologia femminista, che secondo Rosmarie Radford Ruether è una delle forme principali di teologia pubblica, sta ridisegnando se stessa alla luce di una galassia di metodi mutuati dalle teorie postcoloniali, queer, postsecolari. Metodi consolidati a livello internazionale, che considerano l’intersezione delle differenti forme di violenza sociale, economica e simbolica e aiutano ad attualizzare il potenziale visionario e di resistenza della Bibbia e dei testi religiosi, invitando allo stesso tempo a mantenere una visione critica e autocritica, affinché l’identità che abitiamo rimanga problematica e non diventi motivo di esclusione.

Ulrike Auga, docente di teologia e genere alla Humboldt-Universitaet di Berlino, ha mostrato che il movimento di dissidenza del 1989 nell’Europa dell’Est, di cui è viva la memoria a Dresda, condivide con le primavere arabe del 2011 e con il movimento di Occupy Wall Street una visione del cambiamento sociale in cui la mobilitazione politica si intreccia con la fede e la spiritualità. Per realizzare il cambiamento sociale e superare le false democrazie, secondo la suora benedettina Teresa Forcades i Vila, è necessario smantellare l’antropologia fondata sull’autosufficienza dell’individuo. Ispirandosi alla teologia della liberazione latinoamericana, Forcades i Vila rielabora il concetto cristiano di persona, rilevando nel suo carattere di irriducibile non uniformità alcune assonanze con le teorie queer, secondo le quali l’umano è inclassificabile rispetto al genere. Sulla stessa linea di pensiero, Musa Dube, docente di Nuovo Testamento nell’Università del Botswana, invita a sfidare i confini della propria identità. Connettendo gli studi biblici alla sua esperienza diasporica di discendente di colonizzati, Dube ha esaminato le traduzioni della Bibbia dei missionari, denunciando come testi del terrore le distorsioni introdotte nella traduzione per cancellare le culture indigene. Anche nel mondo contemporaneo disuguaglianza e violenza dipendono da interconnessioni tra sesso, razza e classe. I movimenti per la giustizia globale devono  costruire alleanze che attraversano le identità, afferma Jane Jacobson, docente  di gender studies negli USA, che sostiene la centralità dell’alleanza tra il movimento per i diritti delle persone omosessuali e transessuali e quello dei lavoratori e delle lavoratrici domestiche. Nel mondo contemporaneo, infatti, il lavoro domestico  ha una centralità paragonabile a quella del lavoro operaio nel secolo scorso. La necessità di creare alleanze con il movimento Occupy Wall Street è stata ribadita da Kwok Pui-Lan, una delle pioniere delle teologie postcoloniali e da Jorg Rieger, che lavora su economia e teologia. Creare alleanze è anche superare i confini tra religione e spazio pubblico. Per Anne-Marie Korte, docente all’Università di Utrecht,  la preghiera punk delle Pussy Riot “Madre di Dio, caccia Putin” può essere letta come un esempio di teologia femminista pubblica. Questo secondo Korte è il senso dell’invito di Yekaterina Samutsevich, durante il processo delle Pussy Riot, a considerare la cultura ortodossa come patrimonio non solo della Chiesa ortodossa russa e di Putin, ma come potenziale alleata della ribellione civile  in Russia.  Nell’azione che intreccia religione e ribellione il corpo è fortemente presente. Mayra Rivera chiama “labirinti dell’incarnazione” i temi delle teologie del corpo contemporanee. Riportare al centro  la nozione di carne,  nel suo significato di tessuto connettivo, indistinto ma dinamico, risponde alla sfida etica del nostro tempo di cercare ciò che connette i corpi gli uni con gli altri. Al grido silenzioso dei corpi dolenti degli adolescenti suicidi per omofobia ha dato emozionante visibilità Jane Grovijahn, attraverso una lettura queer della spiritualità di Dorothee Soelle. In Europa, infatti, la parola “queer” fa parte del lessico delle teologie cristiane che, in  spirito ecumenico, offrono i loro strumenti per combattere l’omofobia e la transfobia. In Europa, ma non in Italia.


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