Femminismo, Vatican-style

 

Tina Beattie, The Tablet, 07/08/2004

Il nuovo documento di Roma sugli uomini e le donne mostra che il femminismo e la Chiesa hanno in comune forse molto più di quanto si sia mai pensato, ma ora è compito della teologia cattolica di spiegare la natura sacramentale della donna.

 

 

La pubblicazione della lettera vaticana sugli uomini e le donne è stata accolta con prevedibili pregiudizi dalla stampa laica dell’ultima settimana. “Il papa mette in guardia dalle femministe: i vescovi devono prendere la linea dura sulle questioni di genere”, annunciava un titolo di The Guardian. Christina Odone, inviata del New Statesman, parlando alla radio 4 della BBC, era (prevedibilmente) meno prevedibile. Ha descritto la lettera come "una storica conversione a U.; il documento che contrassegnerà il papa come un novello femminista; un testamento meravigliosamente commovente".

Di fatto, la lettera mostra molto buon senso e intelligenza, ma è unilaterale nella rappresentazione del femminismo e fa un certo numero di affermazioni problematiche. Inoltre rischia, rispetto a quanto riguarda le donne, di far sembrare la gerarchia cattolica ancor più anacronistica. Quale altra istituzione oggi redigerebbe un documento sulle donne, facendolo scrivere da un gruppo di uomini (la Congregazione per la dottrina della fede, a la firma del cardinale Ratzinger) per rivolgersi a un altro gruppo di uomini (i vescovi), senza citare o almeno fare riferimento a qualche idea di una donna? Poiché la lettera è intitolata "sulla collaborazione degli uomini e delle donne nella chiesa e nel mondo", questa mancanza di collaborazione con le donne appare un po’ ridicola. Mi sembra però che molti di noi, che conserviamo un rapporto più o meno buono con santa madre chiesa, mentre tanti invece se ne sono andati, lo facciamo perché abbiamo un senso dell’umorismo molto sviluppato ed abbiamo imparato a convivere con le sue curiose idiosincrasie.

La seconda metà del secolo scorso ha assistito a una mutazione di prospettiva da parte della chiesa nei confronti della sessualità e del genere, dovuta anche alle idee che il papa attuale ha maturato quando lavorava in parrocchia come giovane sacerdote con le coppie di sposi. Inoltre, Hans Urs von Balthasar ha avuto un influsso teologico significativo in questo ambito. La lettera deve essere quindi iscritta all’interno di una tendenza emergente nella teologia cattolica, presentata a volte come "il nuovo femminismo" (anche se alcuni lo considerano, invece, altamente conservatore), connesso con il giornale Communio e con pensatori quali Prudence Allen, Francis Martin, David Schindler e Michelle Schumacher.

Sulla scia delle catechesi del papa sul libro della Genesi del 1979-1980, la lettera afferma che l’umanità, maschio e femmina, è creata ad immagine di Dio come dono di sé all'altro. Afferma la differenza sessuale come "realtà profondamente iscritta nell'uomo e nella donna" e come "componente fondamentale della personalità". L'uomo e la donna sono stati creati in una relazione nuziale di amore reciproco, auto-donantesi, mentre invece il peccato originale ha portato a quella dominazione, rivalità, violenza e inimicizia fra i sessi, che possono essere superate soltanto in Cristo. È la donna che, "nel suo essere più profondo ed originale", esiste "per l'altro" ed è a lei che è affidata in modo tutto particolare la vocazione di amare e nutrire la vita. Ciò è strettamente collegato alla capacità fisica della maternità, anche se la lettera insiste che la maternità non è riducibile soltanto alla procreazione fisica. La vocazione alla verginità e quella alla maternità si illuminano a vicenda, puntando entrambe al dono di sè in termini sia concreti che spirituali.  

Tuttavia, a partire dal fatto che le donne sono le prime responsabili dei rapporti umani, soprattutto all’interno della famiglia, la lettera sostiene che le donne e gli uomini hanno un differente modo di rapportarsi alla famiglia e al lavoro. Ciò richiede rispetto per le donne che desiderano dedicarsi alla famiglia e non vogliono essere "stigmatizzate dalla società o penalizzate finanziariamente". Allo stesso tempo, donne che lavorano fuori casa dovrebbero poterlo fare senza dover sacrificare il benessere della famiglia e questo richiede la trasformazione degli atteggiamenti e dei valori della società così come delle relative organizzazioni. Ciò è importante, dice la lettera, perché la partecipazione delle donne è necessaria a tutti i livelli della vita pubblica, se devono essere trovate soluzioni innovatrici nei confronti dei problemi economici e sociali del mondo.

In questi discorsi, chiara è l’eco di un pensiero femminista, specialmente nella eccellente sezione sul lavoro e sulla famiglia. Alcune femministe potrebbero inorridire di fronte alla “under-standing (gioco di parole tra comprensione e sotto-comprensione, n.d.t.) della differenza sessuale come qualcosa di codificato in modo essenziale nella natura umana, ma i cristiani devono affermare senza possibilità di dubbio la capacità del corpo di recare in sé un’autentica rivelazione. Per quanto opaca sia la relazione tra natura e cultura o tra sesso e genere (e oggi le femministe non sono, come sembra invece insinuare la lettera, ingenue su questo punto e la complessità della relazione tra sesso e genere è ormai per lo più riconosciuta), i cristiani sono chiamati a lavorare “con” piuttosto che “contro” le nostre naturali capacità e orientamenti corporei, così che si possa capire cosa significhi essere persone sessuate create ad immagine di Dio.

Penso che le reazioni di alcune femministe a questo documento siano dovute  al fatto che le affermazioni circa la natura essenzialmente auto-donantesi delle donne vengono percepite come romanticismo. Stereotipi che ci si può aspettare soltanto da un gruppo  di uomini celibi che parla della psicologia e della natura delle donne all’interno di un ambiente di soli uomini. E’ anche vero però che la maggior parte delle femministe concorda sul fatto che le donne siano più relazionali degli uomini e teorie ortodosse, cattoliche e femministe sono radicate su un fondamento comune: credere che questa relazionalità sia un modello di umanità migliore di quello dell’individualismo maschile che caratterizza la società attuale. Che le donne siano, per natura o cultura, più orientate verso i rapporti di cura e che le donne abbiano un'affinità più immediata con la natura, perché i nostri corpi sanguinano, generano e alimentano, lo affermano anche molte femministe. La speranza che una partecipazione più ampia delle donne alla vita pubblica fornirà un'alternativa alla violenza e allo sfruttamento della società moderna è comune al papa ed alle femministe. Apparentemente, la gerarchia ritiene invece di essere esente dalla necessità di un’influsso “umanizzante” al suo interno da parte delle donne, dato che gli ultimi anni hanno visto una certa tendenza a inserire in alcune delle istituzioni e della amministrazione della chiesa solo donne attentamente selezionate.

È giusto dire, inoltre, che il femminismo non ha del  tutto accettato che la famiglia resti, per la maggior parte delle donne, chiave di volta della propria identità, della propria autostima e del proprio impegno in quanto donne. Le femministe frequentemente hanno ritratto il matrimonio e la vita familiare ispirati e sostenuti da valori religiosi come una cospirazione patriarcale che rende le donne poco più che delle schiave domestiche. Non sono riuscite ad accettare che per molte donne matrimonio e maternità sono esperienze profondamente arricchenti, che permettono loro di esprimere il proprio amore, la propria sessualità ed il talento nella cura all’interno di rapporti stabili e impegnativi. La lettera, dal momento che riconosce che matrimonio e verginità non sono gli unici modi in cui le donne possano realizzarsi, reinterpreta queste due antiche vocazioni e, in modo inquietante, le lascia aperte. Per esempio, evitando saggiamente ogni riferimento alla contraccezione, tiene conto della possibilità che la chiesa sia finalmente in grado di dare spazio a donne sessualmente attive che non sono madri, fatto che rappresenta certamente una dimensione innovativa  nel pensiero cattolico recente.

 

Senza negare queste importanti intuizioni, questo documento è però profondamente discutibile. Si riferisce "alla dominazione di un sesso da parte dell’altro", ma non riconosce che cosa abbia significato la dominazione degli uomini sulle donne, nella cristianità come nelle culture e religioni non-cristiane. Non c’è dunque alcun riconoscimento della legittimità storica del femminismo, né si riconosce che se la teologia è riuscita a distaccarsi significativamente dalla tradizione lo deve in gran parte anche all'influenza del femminismo. Non si fa menzione dell’abuso domestico e della violenza sessuale come problemi pastorali urgenti per la Chiesa nei confronti delle donne, né viene detto nulla circa le responsabilità degli uomini nella vita domestica.

Diverse indagini indicano che, anche donne che lavorano molte ore fuori casa, si occupano poi dei lavori domestici e di ciò che riguarda l’educazione e la cura dei figli. Una madre, se deve trovare equilibrio tra lavoro e famiglia, ha bisogno del supporto attivo di un padre che condivida il lavoro per mandare avanti la casa e per far crescere i figli. E’ necessario anche riconoscere che, per molte donne, il lavoro non è una scelta ma una necessità economica e questo le lascia esauste di fronte alle impossibili pretese di occuparsi, anche se lavorano a orario lungo in mestieri umili e per una paga bassa, dei bisogni dei mariti, dei figli e di altri che dipendono da loro. È delirante lasciar intendere  che donne in tali circostanze "conservano nelle loro vite la profonda intuizione della bontà di quelle azioni che danno la vita e che contribuiscono allo sviluppo ed alla protezione dell'altro”.

Contro ogni previsione alcune donne ce la fanno, ma molte sono sopraffatte e sconfitte ed il risultato è la perpetuazione di relazioni segnate dalla negligenza e dall’abuso nei confronti della generazione dei figli. Mentre sia le femministe che il Vaticano continuano a lavorare per trasformare la cultura ed hanno forse in comune più di quanto entrambi credano, i vescovi potrebbero rivolgere la loro attenzione a una presa di  responsabilità da parte tanto degli uomini che delle donne. Ciò richiederebbe un'analisi realistica delle circostanze sociali e domestiche che concorrono a minare il benessere delle donne nella chiesa e nel mondo.

La preoccupazione primaria di questa lettera, invece, non è l’abuso degli uomini sulle donne, ma la minaccia del femminismo. Le femministe, ci viene detto, "danno forte risalto agli stati di subordinazione per provocare l'antagonismo", come se "le donne, per essere se stesse, debbano porsi come avversarie degli uomini" e credono che "di fronte all’abuso di potere si debba rispondere con la ricerca del potere". Ciò suona come una ritardata reazione agli scritti di Mary Daly, una teologa cattolica che, negli anni 70 e 80, ha delineato una particolare forma di femminismo radicale separatista. Il femminismo, però, è un movimento troppo vario e complesso per prestarsi a queste accuse semplicistiche e distorte. Ci sono forme di femminismo che sono incompatibili con la fede cristiana, ma ci sono anche molte femministe che lavorano nella fedeltà critica agli insegnamenti della chiesa e che acconsentirebbero a molte delle idee espresse in questa lettera. Negare il loro contributo alla teologia ed alla prassi cristiane e non riuscire a riconoscere quanto questo stesso documento sia in sé profondamente debitore al pensiero femminista, significa ancora una volta emarginare e mettere a tacere le donne e insinuare che gli uomini le conoscano più e meglio di quanto noi conosciamo noi stesse.

Il problema più profondo di questa lettera, comunque, più che sociologico, è teologico. La convinzione che c’è una differenza essenziale fra i sessi non fa parte della tradizione cattolica. A partire da Agostino la chiesa occidentale ha capito sempre la differenza sessuale come dimensione eterna dell'esistenza umana, ma ha anche tradizionalmente insegnato che la differenza fra gli uomini e le donne è di grado piuttosto che di sostanza. Cristo era maschio non perché il corpo maschile fosse ontologicamente differente dal corpo femminile, ma perché era la versione più perfetta della stessa cosa.

Oggi, scartando una comprensione gerarchica della differenza sessuale a favore di un modello di complementarità (i sessi sono uguali ma differenti), la chiesa ha dovuto trovare nuove giustificazioni per l'esclusione delle donne dal sacerdozio. Una di queste è stata identificare la mascolinità, essenziale al sacerdozio, con la mascolinità di Cristo, che a sua volta è identificato con la paternità di Dio. Anche se non è espressa pienamente, la teologia sottesa a questo nuovo essenzialismo sessuale è potenzialmente disastrosa. Non solo associa la paternità di Dio con la sessualità maschile (un'associazione che la chiesa ha negato sempre, anche se a volte l’uso teologico di un linguaggio figurato suggerisce l'idea di un dio maschio che insemina una creazione femminile). Essa enfatizza inoltre eccessivamente la dimensione sessuale piuttosto che la funzione relazionale del simbolismo nuziale della chiesa. Di conseguenza, l'amore di Cristo per la sua sposa, la chiesa, è espresso in termini esageratamente sessuali connessi con la mascolinità dello sposo. Ciò ha inoltre implicazioni disastrose nei confronti del ruolo del corpo femminile che da questa teologia, lungi dall'essere riconosciuto, rischia invece di essere espulso.

Dopo parecchie pagine di descrizione della vocazione e del genio delle donne, la lettera asserisce che "i valori femminili qui accennati sono soprattutto valori umani”. In questa prospettiva, quanto viene chiamato “la femminilità” è più semplicemente un attributo del sesso femminile. La parola indica effettivamente la capacità umana fondamentale di “vivere per l'altro ed a causa dell'altro”. Per difendere l'esclusione delle donne dall’ordinazione sacerdotale, si dice che questo "non impedisce in nessun modo l'accesso delle donne al cuore della vita cristiana". Il rapporto nuziale fra i sessi viene poi spiegato in termini di rapporto fra la chiesa ed il Cristo come la sposa e lo sposo e si dice che "le donne sono chiamate ad essere unici esempi e testimoni per tutti i cristiani di come la sposa deve rispondere nell'amore all'amore dello sposo". 

Nella parte iniziale, la lettera rifiuta "un nuovo modello di sessualità polimorfa" connesso con il femminismo. In realtà, è difficile immaginare però un modello sessuale più polimorfo di quello supposto da una comunità di uomini e di donne costituiti come sposa di Cristo, in modo tale che la sposa femminile è in realtà un termine collettivo che raccoglie entrambi i sessi (e in alcuni casi può addirittura non includere affatto le donne, per esempio quando il gruppo si esprime in una comunità di tutti maschi), mentre lo sposo è essenzialmente e biologicamente maschio.

Si tratta di una teologia non del tutto "corretta" e di un modo molto ambiguo di comprendere il  rapporto fra sesso biologico e genere spirituale. Inoltre, il corpo maschile diventa il referente di ogni significato, maschile e femminile, ispirato da un’unica donna, “Maria”, che è "uno specchio posto davanti alla chiesa". La femminilità quindi è stata colonizzata da uomini come spose di Cristo, dal momento che Maria ha realizzato unicamente il suo ruolo materno; il corpo femminile si dissolve nella comunità della chiesa come "donna", che potrebbe essere composta anche unicamente da uomini. Sacramentalmente parlando, la differenza sessuale non riguarda la differenza fra uomini e donne, ma la differenza fra i sacerdoti maschi, che rappresentano Cristo, e tutti gli altri. Dove è andata a finire l'insistenza del documento sul fatto che il sesso fisico non può essere separato dal genere, se il genere femminile non sta in un rapporto necessario con il corpo femminile?

La battaglia tra i sessi continuerà a infuriare e le femministe ed i cardinali continueranno egualmente a dare fuoco alle polveri. Nella recente comprensione della donna da parte della chiesa c’è stata dunque, oltre che in termini di politica sessuale, una significativa innovazione anche in termini antropologici e sociologici. Al livello teologico, però, c’è una catastrofe devastante. Sarebbe davvero urgente che il papa dicesse in che senso il corpo femminile ha importanza sacramentale, di modo che la persona incarnata di entrambi i sessi sia affermata, non solo a livello sociale e biologico, ma anche a livello sacramentale. Altrimenti, alcuni di noi potrebbero temere di essere diventati nient'altro che degli spettatori alle nozze gay della chiesa attuale.

 

 

Tina Beattie è “senior lecturer” in Studi cristiani all'università di Roehampton. Il suo  ultimo libro “Donna” è pubblicato da Continuum.

 

[traduzione di Benedetta Zorzi e Marinella Perroni]