Conferenza episcopale USA: nominato il nuovo “mastino” della dottrina (in Adista)

37201. NEW YORK-ADISTA. È un gesuita, p. Peter Ryan, membro della provincia del Maryland ed ex direttore della formazione spirituale del seminario Kenrick Glennon dell’arcidiocesi di Saint Louis, il nuovo direttore esecutivo della commissione dottrinale della Conferenza episcopale statunitense, composta di nove vescovi. Sostituisce il cappuccino p. Thomas Weinandy, che ha diretto l’ufficio per otto anni. Presidente, invece, continua ad essere il vescovo di St. Paul-Minneapolis, mons. Neinstadt.La nomina, avvenuta il 29 maggio scorso, è molto importante: la commissione, incaricata del rapporto con i teologi, negli ultimi anni è stata al centro di accese polemiche per il modo unilaterale in cui sono stati gestiti alcuni casi di “condanna”, tra cui quello notissimo della teologa Elizabeth Johnson (v. Adista n. 30/11), cui non è stata data la possibilità di un dialogo con la gerarchia quando il suo pluripremiato libro Alla ricerca del Dio vivente è stato condannato in quanto non in linea con il magistero cattolico.Il nuovo responsabile – che assumerà formalmente l’incarico il prossimo agosto – ha affermato, in una lunga intervista al settimanale National Catholic Reporter, che spera di dialogare con i teologi, ma che talvolta potrebbe dover intervenire «per garantire che la fede sia trasmessa intatta». Lo precede una fama di grande intransigenza soprattutto sui temi riguardanti la sessualità, il matrimonio e la bioetica. Aspetto, questo, che emerge immediato nell’intervista dell’Ncr: «Sappiamo già – ha detto – che alcuni temi preoccupano particolarmente i vescovi, ed è su quelli che mi focalizzerò. Il mandato obbligatorio previsto dalla riforma sanitaria (che prevede l’offerta da parte dei datori di lavoro, anche religiosi, di un’assicurazione comprensiva della copertura delle spese per contraccezione e aborto, v. Adista Notizie n. 11/12, ndr), certo, è un tema molto importante, senza dubbio dovremo affrontarlo». Accanto a questo, Ryan pone la questione del matrimonio omosessuale, ma anche temi di bioetica come la ricerca sulle cellule staminali, temi «che hanno causato molto dibattito», ma «se vengono spiegati in un modo che le presenti non come regole imposte dall’esterno, ma che nascono dal significato dell’essere umano e dal rispetto di ciò che è autenticamente umano, penso che siamo a buon punto». Da questo punto di vista, il divorzio e un secondo matrimonio non sono qualcosa che «la Chiesa può permettere o non permettere, e il suo veto in qualche modo è percepito come un’imposizione legalistica dall’esterno»; sono piuttosto questioni che sorgono dal significato dell’essere umano e non imposizioni da parte di un’autorità, e come tali possono avere più significato per la gente».In generale, afferma Ryan, non si tratterà di tracciare delle linee di confine: «C’è una fede che è stata trasmessa. Questo significa qualcosa. Penso che fare teologia presupponga questa fede». In questo ambito, dice, c’è spazio per «una reale creatività» teologica, ma, aggiunge, «è vero che talvolta bisogna sancire se è di aiuto negli sforzi trasmettere la fede o no».Ryan, però, mette anche l’accento sulla necessità di un dialogo: «Spero di poter continuare ad avere conversazioni. Questo non significa che si debbano prendere delle decisioni, ma voglio prenderle alla luce dell’importanza sia del dialogo sia della fedeltà alla fede trasmessa». Due elementi che il gesuita non vede in conflitto, ma complementari. Quanto ai casi risolti sotto la gestione precedente senza un dialogo, Ryan mette le mani avanti: «Non sono nella posizione di valutare come sono state gestite le cose prima. Ho molto rispetto per p. Weinandy, e la mia impressione generale è che abbia svolto un lavoro meraviglioso. Posso solo dire in termini generali che il dialogo è importante così come lo è garantire la corretta trasmissione della fede». Se, però, il dialogo comporti anche una collaborazione, Ryan non sa dirlo: «È una buona idea – afferma – ma non saprei quale forma precisa possa assumere».
Il predecessoreQuel che è certo è che Ryan si trova una pesante eredità. Il suo predecessore, p. Weinandy, ha condannato severamente, senza consultazioni né dialogo, cinque prominenti teologi statunitensi, attirandosi la reazione indignata delle due più importanti associazioni teologiche del Paese; oltre alla già citata Johnson, Todd Salzman e Michael Lawler, entrambi teologi alla Creighton University; Daniel Maguire, medico e bioeticista alla Marquette University; p. Peter Phan, teologo presso la Georgetown University, impegnato sui temi del dialogo interreligioso. Nel dicembre 2011 la College Theology Society (900 gli aderenti) emise un comunicato in cui affermava che la commissione aveva causato una “frattura fondamentale” nell’appello al dialogo nella Chiesa, e aveva ferito «l’intera comunità dei teologi cattolici»; la Catholic Theological Society of America (Ctsa, 1400 aderenti) definì la gestione Weinandy come “avversa ai teologi”.Sul retroscena dell’abbandono dell’incarico da parte di Weinandy pare, dunque, che un peso rilevante abbia avuto proprio il senso di disagio che le sue misure hanno arrecato, anche se la risposta ufficiale della Conferenza episcopale si è limitata a definire «naturale» il passaggio del testimone dopo un certo numero di anni. (ludovica eugenio)
da: Adista Notizie n. 22 del 15/06/2013