Editoriale Pasqua 2016 [ La carne e la pietra, sottosopra ]

banner-pasquaCTI

di Cristina Simonelli

riga-editoriale

Alcune righe di ricordo reciproco per portare a parola almeno qualcosa della promessa di questa Pasqua, del suo carico di speranza pur nel peso della vita e della storia. Non è sfuggendo ad esso che possiamo accogliere l’annuncio della resurrezione, ma portandolo, sia pure nel modo limitato in cui riusciamo a farlo. Ognuna e ognuno va col pensiero al percorso proprio e delle persone che ha più care – molte vicende le abbiamo messe in comune in questo inverno, altre le abbiamo apprese magari ricevendo risposte accorate a semplici messaggi di convocazione dell’assemblea annuale, altre le ignoriamo ma non sono per questo meno reali – e certo allo scenario globale che è tutt’altro che semplice e non solo quando la barbarie è vissuta nel cuore dell’Europa, ma ovunque nel mondo.

L’immagine della pietra sottosopra dell’alba di un giorno dopo il sabato non sarebbe abbastanza senza la benedizione che non ha tramonto, senza primati rovesciati come pietre, senza vita degna di venerazione, senza trasformazioni della petrosità del cuore in tenerezza della carne (M. Cristina Bartolomei, incrociando Ezechiele e Pietro), senza storia accolta anche nelle pieghe più recondite. Del sottosopradurcheinander – ci ha regalato una bella lettura Ina Praetorius (L’economia è cura: http://www.cittasociale.eu/), modulandola nei diversi significati che la lingua tedesca consente al termine, accompagnando perciò il senso di spaesamento rispetto a quanto è percepito come caos a quello di processo costante e condiviso di attraversamento.

Questo insieme mi sembra quanto mai utile per quello che viviamo, per i luoghi in cui anche come rete CTI ostinatamente stiamo – «stare è un verbo attivo» (Beatrice Gatteschi, in Gatteschi – Maier, Il turbante azzurro, EDB 2016, 126;132) – anche se molte osservazioni ricevute tenderebbero a farlo apparire secondario, superato, superfluo. Non si tratta soltanto delle posizioni decisamente avverse, di cui facilmente ci si può far beffe o che si possono esibire come gloriosa ferita di battaglia, ma anche di voci amiche e benintenzionate, che tuttavia rimuovono quasi sistematicamente e forse inavvertitamente il portato di tanti anni di letture femministe e di genere. Che dimenticano nella bibliografia sempre alcuni titoli, perché non badano – affermano – se sono di donne o uomini: che dunque ti mandano così il messaggio che questo accade non certo perché gli scritti omessi sono di mano femminile, ma perché semplicemente non hanno valore. O che invece vi fanno riferimento dicendo che le teologhe esistono e hanno qualcosa da dire, ma alla fine citano nome, cognome e titolo del talaltro, magari già a lungo criticato dalle stesse cui anonimamente si erano appena riferiti. Questi procedimenti non sono nuovi (si veda ancora Ina Praetorius, La contraddizione secondaria in L’economia è cura, p. 103) ma sono certo più destabilizzanti delle critiche più aspre, perché rischiano di far percepire l’inutilità di molta fatica.

Ma scrivere e ri-scrivere (Beatrice Gatteschi, Il turbante azzurro, 7) non è esercizio vuoto, ma trasformativo e testimoniale, cioè implicato e vivido di speranza. Questa nostra rete continua perciò a stare, a scambiare pratiche, a ricevere regali di amiche e amici che ci inviano saluti e poesie ben oltre la visibilità che anche il nostro sito riesce a dare loro. Continua a proporre cantieri di scambio, come l’ormai imminente Seminario del 24 aprile  con i suoi molteplici aspetti; cerca di avere pace anche con le proprie imperfezioni e i propri limiti, casa che restituisce «il senso di libertà che si respira solo nei luoghi dove non c’è alcuna aspettativa da deludere [..] gusto del perdono» (Michela Murgia, Chirù, Einaudi, Torino 2015, 18). Attraverso tutto questo cari sinceri auguri di sereni sovvertimenti e creative trasformazioni!

riga-editoriale