Seminario 2016: Passione per il mondo: donne e casa comune
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Seminario 2016 – Le domandequestionmark

ASSEMBLEA-CTIStella ‒ Come già l’anno scorso, abbiamo chiesto a tre amiche e a un amico di presentare le loro domande sulle relazioni di questa mattina, quattro spunti di partenza preparati, poi la parola andrà all’assemblea. Non aspettiamoci risposte immediate alle questioni. Dedicheremo l’ultimo quarto d’ora a Letizia e Antonietta, se desiderano rispondere e approfondire i temi proposti dalle domande. In questo modo, alla fine del pomeriggio, saremo in grado di vedere il panorama che si disegna. Senza rubare tempo, mi permetto di dire una cosa. Ci eravamo posti come tema la questione dell’ecologia e delle economie, cioè i meccanismi che le donne, le leggi della cura, le leggi della notte, le leggi del sacro, le tante leggi che ci attraversano, come interagiscono e che profezie si innescano intorno ai temi di crisi, di fatica, di molti e di molte in questo periodo di una casa comune che, come ci è stato detto, non è più casa. Io personalmente credo, anche a partire dalle riflessioni di questa mattina, che in qualche modo l’unica cosa che non possiamo fare è dire che non ci riguarda. Questa è l’unica soluzione esclusa. Ci riguarda, perché questa è anche la nostra casa, ci riguarda perché è la casa degli altri, dei più deboli e dei più fragili. E ci riguarda perché se c’è qualcosa che abbiamo imparato dalla storia delle nostre riflessioni come donne e come teologhe è che il principio dell’inclusività è indispensabile. O ne veniamo fuori insieme o non se ne viene fuori. Quindi mi sembra che in questo scenario possiamo rimetterci in qualche modo a pensare.


Guia

Sarò brevissima. Riassumo alcuni punti che ho colto dagli interventi di questa mattina. Entrambi pongono più domande che risposte. Letizia Tomassone si chiede come si sia delineata la linea di esclusione delle donne dai luoghi del sacro. Poi si chiede come rendere evidenti le conchiglie e le giade sepolte, come uscire dall’intimità della propria spiritualità unendo tecnica e spiritualità e come creare interconnessione, come ritessere relazioni di vicinato. Antonietta Potente pone a sua volta delle domande: come stare in una casa che non è più casa, in un mercato che non è più mercato, quali strategie di dialogo, di studio adottare. Suggerisce la Porta della luna. L’immaginazione. Il desiderio. Coraggio. Empatia. Si chiede poi, che cosa stiamo ignorando nel nostro fare teologico? E suggerisce di cercare la sapienza che viene da oriente e da occidente. Nella mia storia, nel mio percorso, so che questa ricerca, questa apertura a tutte le tradizioni che si sono aperte nella contemporaneità e che arrivano da occidente e da oriente spesso ci vede naif, oppure in un atteggiamento che, spesso, rischia di essere ancora post-coloniale. Cioè prendiamo quello che ci piace e dimentichiamo acriticamente quello che non ci piace. Ancora, Antonietta si chiede come costruire una teologia del fermento, dei fermenti che pure ci sono.

La mia domanda parte dalla mia passione, e dalla considerazione che tra le migliaia di costruzioni binarie di cui siamo succubi c’è la divisione artificiale, già iniziata nel XIII secolo, tra spiritualità e teologia. A mio avviso, l’esclusione dai luoghi del sacro ha portato le donne a ritirarsi nella preghiera, nel segreto dell’anima e nel segreto delle attività di cura. Se così non fosse non saremmo qui, e soprattutto non saremmo qui come cristiane. Se le donne sono riuscite a sopravvivere all’esclusione dai luoghi del sacro è perché il loro “fare focacce”, il loro prendersi cura è sempre e da sempre carico di una profonda, lunare preghiera. Personalmente credo che la realtà più queer che esiste oggi è la contemplazione, l’essere innamorate dell’invisibile e, pace Ina Praetorius, dell’aldilà. Karl Rahner diceva che i cristiani e le cristiane del futuro o sono mistici o non sono. La mia domanda, e la mia ricerca, è che posto ha la preghiera nella ricerca e nella pratica teologia femminista di oggi? E quale preghiera, quale metodo di preghiera individuale e collettiva adottareper far nutrire un’immaginazione profetica in grado di trasformare le politiche che attualmente governano ‒ e uccidono ‒ il pianeta?

Elena

Le due riflessioni odierne hanno suscitato in me alcuni interrogativi e alcune riflessioni, tramite “libere associazioni” di idee, che provo qui a verbalizzare.

In particolare, la teologia notturna e il tema Natura-donna-cicli naturali mi suggeriscono alcune “piste” riguardanti il rapporto con la Natura nella sua dimensione più quotidiana dell’esistenza.

Penso in questo momento alla scelta, sempre più frequente e talora modo “alla moda”, del “BIO” come stile di vita, scelta che riguarda non solo l’alimentazione, ma complessivamente tutti gli ambiti dell’ “abitare” (cura di sé e del corpo, ma anche della casa o, talora, nell’abbigliamento), e che diventa per alcuni espressione di un modo “diverso” di rapportarsi con la Terra (e con il “mondo”); spesso, però, rischiando, a mio parere, di finire per essere più o meno consapevolmente parte dell’ennesimo business, appannaggio e moda per pochi, o, esagerando, di vivere questa scelta di nuovi percorsi di vita come un tentativo di “controllo” della realtà, magari in modo un po’ “autosoterico”.

Mi chiedo quindi se, tenendo conto dello scarto tra piccole e grandi pratiche, sia davvero possibile ripensare il rapporto con il Creato, rifondandolo teologicamente, nell’ottica di una cura autentica e di una conservazione dinamica. C’è la possibilità di ritornare davvero ad un mondo più “naturale”? Quali spazi oggi per le donne che vogliono “abitare il mondo” in modo autentico? E’ possibile fare dei luoghi di “interconnessione con il mondo” momenti e spazi di “esperienza spirituale”?

Stefano

Dal mio punto di vista, vorrei provare a dire qualcosa. L’appropriazione maschile del sacro, con la esclusione progressiva delle donne dal rito autorizzato e legittimo, pone un problema di disagio della civiltà che non si riconduce solo all’ipoteca patriarcale ma affonda in una strutturazione ancora più complessa, coinvolgendo proprio la tematica del potere, della sua nascita, del suo consolidamento, del suo esercizio, della sua celebrazione – perché il potere ama anche celebrare ed essere celebrato, non solo essere celebrato – e dell’eventuale, o sperabile, sua fine.

Ma come avviene la fine del potere? Quali sono gli ambiti, le caratteristiche, i luoghi, le dimensioni di questa terminazione? Giacché il potere viene messo in crisi attraverso pratiche diverse, alternative, rivoluzionarie, oppure attraverso una consunzione dal suo interno a motivo di nuove forme di potere che destrutturano e fanno scomparire quelle antiche ma che rinnovano le medesime istanze di controllo sociale e psichico.

Una simile articolazione risulta piuttosto chiara se si pensa alla storia del diritto canonico ed alla sua ancora attuale conformazione.

Il canonista, ad esempio, è piuttosto a disagio di fronte ai percorsi metagiuridici individuati da Francesco papa. Perché la prospettiva giuridica non viene abolita, ma relativizzata – in una operazione gigantesca di destrutturazione del potere – e con ciò ricondotta ad un alveo di organizzazione pratica, di elaborazione risolutiva di questioni concrete. Un percorso del tutto induttivo e non più deduttivo.

Alla luce di ciò, vi è dunque, finalmente, la necessità e possibilità di rileggere la dinamica sacro/profano come messa in discussione radicale di ruoli codificati per aprirsi a nuovi “canoni”, intesi quali “canoni dell’Alterità”, che non riducano ad identità il diverso, lo sconosciuto, l’ignorato, ma diventino memoria di una tradizione oppressa eppure viva, e non omologabile, come quella delle donne?

Maria

Io vorrei tornare sulla questione del metodo, che ha posto Antonietta alla fine della sua riflessione. Parto subito con la domanda. La domanda è, come possiamo fare oggi teologia con passione? Sono partita dal termine passione. Il termine passione è un termine plurale, perché dice desiderio, dice inclinazione, dice partecipazione profonda, ardente. Ma dice anche dolore e sofferenza. Se partiamo dal pensiero classico, la passione è vista sempre in senso negativo. È sempre vista come qualcosa che rimanda all’irrazionale, all’emotivo. La passione si oppone al logos. La passione sfida però l’intera tradizione teologico-metafisica occidentale. La passione ci chiede di non essere indifferenti. Ci chiede di essere con gli altri. Ci chiede sollecitudine. Necessità di evitare le contraddizioni. In sintesi, la passione ci chiede che la politica sia trasformatrice. Se pensiamo all’economia, la razionalità è il principio cardine, perlomeno della teoria economica classica. Ma è anche il principio cardine della politica. Tutti quanti conosciamo la teoria politica di Hobbes, la teoria politica che segue un ordine geometrico. Il superuomo che emerge dalla teoria economica classica, dalla teoria politica classica, è un calcolatore, che conosce perfettamente il mondo, che non fa errori. Queste informazioni che il superuomo ha sono perfette. Per fotuna però oggi stiamo uscendo dall’idea classica di economia edi politica, perché ci accorgiamo che le catene e le reti di eventi sono complesse, sono zeppe di elementi casuali e caotici. Allora, noi viviamo nel caos sempre seguendo un ordine. Utilizzando le parole di WEnger, siamo in un sistema caordico. Allora la mia domanda è, come possiamo fare una teologia, una pratica teologica che sia appassionata del mondo? Tenendo conto che da qui parte la sfida di una storia che vorrebbe essere ordinata e che però è intrisa di passione.