DOC-2416. ROMA-ADISTA. Il modo migliore per celebrare il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II è quello di «continuare ad essere aperti alla presenza dello Spirito» nel presente, perché «la storia non si è fermata ai cambiamenti vissuti in questi 50 anni»: «le sfide continuano a sorgere, nuove e sorprendenti, strane e imprevedibili», e in urgente attesa di «risposte adeguate a partire dall’esperienza di fede». Così afferma la teologa colombiana Consuelo Vélez nel suo intervento sul numero collettivo di riviste teologiche latinoamericane promosso dalla Commissione Teologica Latinoamericana dell’Associazione ecumenica dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo (Asett o Eatwot) e pubblicato dalla storica rivista di teologia Voices con il titolo “50 anni dal Vaticano II visti dall’America Latina» (Adista ne ha riportato già due interventi, di Víctor Codina e di Marcelo Barros, sull’ultimo numero di documenti). Che oggi, del resto, siano evidenti «realtà che 50 anni fa appena si intravedevano o che non eravamo capaci di riconoscere» basterebbe infatti a dimostrarlo la questione della donna, su cui il Concilio non è stato capace di pronunciarsi, malgrado proprio in quegli anni facesse la sua dirompente comparsa il movimento a favore della liberazione del corpo femminile. E proprio a tale questione è dedicato l’intervento del teologo brasiliano di origine belga Eduardo Hoornaert, secondo cui, malgrado la diagnosi di Giovanni XXIII sulla distanza della Chiesa dal mondo moderno fosse corretta, il Concilio non era in grado «di andare al fondo della questione», arrivando cioè a identificare quell’ideologia eteronoma propria della Chiesa (la condizione, cioè, in cui l’azione del soggetto non è guidata da un criterio autonomo, ma è determinata dall’esterno) che le donne per la prima volta stavano mettendo radicalmente in discussione. E non è difficile comprenderne la ragione: «L’immaginario della Chiesa cristiana – spiega Hoornaert – proviene, in ultima istanza, dalla Bibbia, elaborata in un mondo dominato dalle strutture eteronome. Il re (o imperatore) domina sul popolo, il signore domina sullo schiavo (lavoratore), l’uomo domina sulla donna, il padre domina sui figli e Dio domina su tutti (e tutte). L’intera vita è concepita in termini di eteronomia: c’è sempre un altro che comanda. La vita umana è sempre in mani altrui». Introducendo «comportamenti autonomi nel cuore del vecchio mondo segnato da secoli di eteronomia», la donna si libera dalla sua subordinazione a una volontà esterna, stabilendo, attraverso la pianificazione familiare, una nuova relazione con il suo corpo e mirando, per questa via, a cambiare le strutture della società e dell’istituzione religiosa. Un’istituzione, tuttavia, che si rivela incapace di cogliere la portata di questa sfida. Rimandando nuovamente al sito di Voices (http://InternationalTheologicalCommission.org/VOICES) per la lettura integrale del numero collettivo, riportiamo qui di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo e dal portoghese, ampi stralci degli interventi di Consuelo Vélez e di Eduardo Hoornaert. (claudia fanti)