LA DONNA CI HA MESSO DEL SUO?

Pubblicando l’articolo precedente avevo sollecitato osservazioni o commenti. Non me ne è pervenuto alcuno, ma continuo ugualmente la mia riflessione.
La cultura della femmina sottomessa al maschio, come si sa, non è tipica della civiltà occidentale o mediorientale in genere, ma è diffusa in moltissime popolazioni del globo. L’etnologia ci comprova che anche presso popoli ignoti fino quasi ai giorni nostri, la femmina svolge un ruolo subordinato al maschio e tutto quanto ha a che vedere con la fertilità è considerato impuro.
La domanda è se la donna ci ha messo del suo nell’adeguarsi alla mentalità generale che essa sia e debba essere considerata inferiore all’uomo.
E la mia risposta è affermativa.
Sarò lapidario e banale: tutto si riduce alla sopravvivenza.
Chi andava a caccia?
Il maschio perché la femmina era dedicata ad allattare i piccoli e, di conseguenza, a crescerli.
Nei mammiferi tutto questo è normale.
Ma se è normale nei mammiferi non dotati di ragione, nella persona umana, una volta risolto il problema della sopravvivenza immediata, la questione avrebbe dovuto porsi.
Ce la siamo posta?
Sì, solo nel secolo XVIII, più o meno e siamo arrivati a qualche conclusione leggermente accettabile nel XX secolo.
Si pensi che la prima donna laureata del mondo fu un’italiana, Elena Lucrezia Cornaro, una nobile veneziana che era dottissima e che fu accettata nell’Università di Padova dopo insistenze molteplici da parte del nobile Cornaro, suo padre, presso il cardinale Barbarigo che non ne voleva sapere e che, in proposito, scrisse ad un amico:”Che una donna sia fregiata del titolo di dottore in teologia, non sia mai”.
Per questo motivo, nonostante Elena Lucrezia fosse ferratissima in teologia e fosse anche oblata dell’ordine benedettino, le fu concesso il dottorato in filosofia. Ma la prima donne laureata al mondo non si diede la pena di adoperarsi affinché la porta aperta per lei fosse spalancata per altre donne meritevoli. Basti pensare che, agli inizi del 1900, in Italia, le donne laureate erano poco più di 20.
Non sto ad elencare una serie di “privilegi” che i maschi avevano rispetto alle femmine quali quello di votare, di lavorare, di esercitare la capacità giuridica ecc., privilegi dai quali non ci siamo del tutto ancora affrancati. Basti pensare che, ancora oggi, per contratto, la retribuzione di una donna è inferiore a quella di un uomo che ricopre il medesimo ruolo in campo lavorativo.
La donna, dicevo, ci ha messo del suo perché ha vissuto in uno stato di acquiescenza in nome della sopravvivenza. In sostanza il patto è stato tacitamente siglato: l’uomo provvede alle necessità della famiglia e la donna bada alla casa e ai figli con la sottomissione al capofamiglia.
La chiesa, intesa come società di cristiani, si è passivamente adeguata a questa mentalità corrente e non ha mai considerato di compiere un gesto rivoluzionario come quello di considerare la donna semplicemente persona umana come l’uomo, con tutti i diritti all’annuncio del Vangelo, all’amministrazione dei sacramenti e via elencando. E se è accettato che una donna si laurei in teologia, non è accettato che per questo possa rivestire un ruolo nella società ecclesiale che la ponga al medesimo ruolo dell’uomo.
Anche qui, a mio avviso, la donna ci ha messo del suo nell’accettare passivamente il ruolo di essere subordinato e sentendosi appagata se i maschi la cooptano per ruoli che fino a qualche decennio fa erano impensabili come quello di lettrice della Parola di Dio, di ministra straordinaria dell’Eucaristia e via elencando.