AFERT: Editoriale

Il
mondo teologico italiano, non diversamente dagli altri ambiti
scientifici ed accademici, continua ad aver difficoltà ad assumere la
problematica di genere. Essa non sembra aver determinato una
significativa mutazione della percezione condivisa della vita, non ha
contribuito a sostanziali modifiche linguistiche, non ha favorito la
maturazione di una consapevolezza criticamente condivisa riguardo ai
nuovi assetti mentali e sociali favoriti dalla soggettualità femminile.
La cultura italiana ha opposto una tenace resistenza di fronte a un
processo che, sia pure non senza difficoltà, ha invece investito in
modo significativo i diversi ambiti della cultura europea. Resistenza
istituzionale non meno che individuale.

Nonostante questo, all’interno delle istituzioni accademiche come dei
molti spazi di impegno civile ed ecclesiale, è cresciuta in questi
decenni una forte presenza femminile capace di intercettare temi e
problemi-chiave per il confronto intellettuale e il dibattito politico
e religioso tra le donne di tutto il mondo. Questa presenza ha fatto
sentire la propria voce dentro e fuori le istituzioni, dentro e fuori i
luoghi deputati all’elaborazione di senso, dentro e fuori le tradizioni
religiose. Forse, proprio la sua connotazione carsica ha contribuito a
stabilire e rinsaldare legami. Tra donne e tra percorsi di studio, tra
ambiti disciplinari e istituzioni accademiche. Nonché a sfatare
pregiudizi ed a maturare convinzioni, ad aprire confronti e ad
individuare prospettive. A conoscersi, insomma, ma soprattutto a
riconoscersi come vettore di una trasformazione di mentalità e di
sensibilità che anche in Italia ha ormai investito la società civile
come le comunità ecclesiali.

Su questo sfondo, dunque, va ricercata la peculiarità del
congresso ESWTR di Napoli 2007. Sia per il luogo dove si svolge, sia
per il tema scelto, sia anche per le persone coinvolte nella sua
preparazione e realizzazione. I paesi che, nel corso del tempo, sono
cresciuti intorno al Vesuvio, la gente che abita quella striscia di
terra, meravigliosa e pericolosa, che si snoda tra il mare e il
vulcano, sono metafora vivente di un rapporto con la vita fatto di
fiducia e di disincanto, di allegria e di malinconia, di genialità e di
illogicità. Considerare la ricerca teologica un ambito privilegiato per
ripensare le famiglie, le società e le chiese come comunità viventi non
comporta forse di insediarsi tra il fascino del mare e della costa, dei
colori del sole e del suo calore, e la sobria imponenza di un vulcano
che ricorda quanto sottile sia il confine tra la vita e la morte, la
costruzione e la distruzione, la rigogliosità della terra e il fuoco
degli inferi?
Anche le teologhe italiane, poi, sono una realtà multiforme.
Soltanto in una piccola parte accademiche e, per di più in istituzioni
ecclesiastiche e non civili; in una buona parte insegnanti di
religione; coinvolte nella catechesi o nell’impegno sociale e politico;
monache, suore o laiche; munite di titoli teologici che spesso vanno
però ad affiancare tutt’altre professionalità o tutt’altri ruoli
sociali. Battitrici libere o associate nel Coordinamento Teologhe
Italiane, iscritte all’AFERT con più o meno convinzione, data la
distanza che troppo spesso le allontana da una ricerca teologica
portata avanti “dentro” le istituzioni religiose e civili e non
“lateralmente”, per interesse tanto vivo quanto strettamente
individuale, tanto singolarmente coltivato e sentito quanto
pubblicamente non riconosciuto. Eppure, come il lembo di terra che, con
tutte le sue bellezze e i suoi orrori, si snoda tra il mare e il
Vesuvio, anche le teologhe italiane hanno i questi decenni dato vita a
una serie di percorsi che, intrecciandosi con quelli di teologhe di
altri paesi europei, può contribuire a profilare una teologia capace di
parlare di Dio a un mondo che, piaccia o no, non è più lo stesso.
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Presidente Coordinamento Teologhe Italiane

Vicepresidente AFERT