La luce di Cristo e la Chiesa

Terza Assemblea Ecumenica Europea

5-9 Settembre 2007 a Sibiu

Sessione d’apertura, 5 Settembre 2007

 

Cardinal Walter Kasper

La luce di Cristo e la Chiesa

 

Il
tema di questa Terza Assemblea Ecumenica Europea “La luce di Cristo
illumina tutti” calza esattamente a pennello
per la città di Sibiu. Qui in Transilvania, convivono da secoli
ungheresi, rumeni, ortodossi, cattolici, greco-cattolici e cristiani
evangelici. Tutte le problematiche di respiro europeo e di natura
ecumenica si riflettono
in questa regione.

 Non per niente Sibiu è stata dichiarata nel 2007 capitale europea della cultura.

1. La complessa storia di questa regione mostra che il tema “La luce di Cristo illumina tutti” non è
affatto un cibo facilmente digeribile; al contrario, esso provoca domande e queste ultime, in alcuni casi, forse addirittura contraddizioni. La luce di Cristo illumina veramente tutti, anche i non cristiani, i musulmani forse?,
illumina persino coloro che non conoscono nulla di Gesù Cristo e le non poche persone che, nell’Europa di oggi, sebbene sappiano qualcosa su di Lui, ne rifiutano il messaggio, coloro che – per citare la Bibbia –
hanno preferito le tenebre alla luce (Gv 3, 19)? Illumina addirittura coloro che perseguitano Cristo e chi in Lui crede?

 

Veramente si tratta di una tematica affatto semplice e tantomeno priva di insidie. Ciononostante, non è questo
un argomento che una qualche assennata commissione ecumenica preparatoria ha escogitato; si tratta, piuttosto, di una libera citazione dal Prologo del Vangelo secondo Giovanni. In questo passo si parla della vera luce che
illumina ogni essere umano e che attraverso Gesù Cristo è entrata definitivamente nel mondo (Gv 1, 9). Lo stesso Gesù Cristo ha definito se stesso come la luce del mondo (Gv 8, 12). Quindi dovremmo, d’ora
in poi, trasferire il tema proposto: “La luce di Cristo e la Chiesa”, su un ulteriore orizzonte, cioè “La luce di Cristo ed il mondo”.

In questo modo ci muoviamo con la nostra tematica su un saldo terreno biblico, anzi io aggiungerei: ci muoviamo
su un saldo terreno comune. Davanti a tutto ciò che differenzia ortodossi, evangelici e cattolici, la fede in Gesù Cristo ci unisce. Come cristiani riconosciamo insieme che, attraverso Gesù Cristo, ci
è stato fatto dono della luce della vita, e che questa luce viene irradiata nel nostro battesimo comune, che i Padri della Chiesa hanno definito come illuminazione (photismos). Insieme riconosciamo nella nostra professione di fede che Gesù Cristo è luce da luce,
Dio vero da Dio vero. Insieme Lo riconosciamo come l’unico redentore e salvatore per ogni essere umano e come la salvezza del mondo.

 

Mi sembra importante che all’inizio di questa nostra assemblea non ci soffermiamo ad evidenziare in prima battuta
le differenze che si frappongono tra di noi, quanto piuttosto a fare opportunamente memoria del nostro fondamento comune. L’ecumenismo non rappresenta solamente un umano sentimento di comune apartenenza. L’ecumenismo intende
rendere realtà la nostra fede comune nell’unico Dio, nell’unico Signore Gesù Cristo, nell’unico battesimo e nell’unica Chiesa, che professiamo nel Credo comune. Il movimento ecumenico – come si dichiara nella formula di base del Consiglio Ecumenico delle Chiese – viene sostenuto da persone
che invocano il Dio uno e trino e che riconoscono Gesù in quanto Redentore e Signore. Sulla base di questo fondamento comune dovremmo, nei prossimi giorni, prendere delle decisioni e da esso lasciarci ispirare.

Senza tale fondamento costruiremmo sulla sabbia e faremmo solamente dei castelli in aria.

 

L’aver riconosciuto nuovamente questa base comune rappresenta il dono fattoci dall’ecumenismo: abbiamo riscoperto
che non siamo estranei né concorrenti gli uni per gli altri, quanto piuttosto fratelli e sorelle in Cristo. Per questo dono non potremo essere mai abbastanza grati. Anche quando insorgano differenze e problemi, non
dobbiamo lasciar turbare la nostra gioia. Non dovremmo neanche lasciarci rubare la gioia da coloro che ritengono che l’ecumenismo sia fallimentare. Per noi l’ecumene rappresenta il mandato di Gesù Cristo, il quale
ha pregato, “perchè tutti siano una cosa sola” (Gv 17, 21); esso deriva dall’ impulso dello Spirito Santo (UR 1; 4) e rappresenta una risposta alla chiamata dei nostri tempi. Abbiamo teso le nostre mani gli uni
gli altri e non abbiamo più intenzione di lasciarle andare di nuovo.

 

2. Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta (2 Cor 4, 7), poiché sebbene poggiati sullo stesso fondamento
comune, Gesù Cristo, viviamo in Chiese separate. Noi facciamo questo contro la volontà e contro il mandato di Gesù. Non dovremmo, dunque, tollerare le scissioni esistenti tra di noi come se fossero ovvie,
oppure abituarci ad esse o persino abbellirle.

Esse sono una contraddizione alla volontà di Gesù perciò una espressione del peccato; esse
rappresentano il fallimento della nostra missione storica, rendere testimonianza della luce di Cristo a tutti gli uomini ed insieme impegnarci per l’unità e la pace per tutti gli esseri umani.

 

A causa delle nostre divisioni abbiamo oscurato la luce di Gesù Cristo per molte persone ed abbiamo reso
la realtà Gesù Cristo non credibile. Le nostre divisioni – e la storia ne è la dimostrazione – sono corresponsabili delle divisioni in Europa e della secolarizzazione di questo continente. Le nostre
divisioni, inoltre, sono corresponsabili dei dubbi che molti hanno nei confronti della Chiesa, nonché del loro metterla in discussione. Di fronte a tale situazione, in cui le nostre Chiese si trovano, non possiamo affatto
ritenerci contenti di noi stessi; non possiamo continuare ad andare avanti come se nulla fosse. All’ecumenismo non c’è alternativa responsabile. Ogni altra posizione contraddice la nostra responsabilità
di fronte a Dio e di fronte al mondo.

La questione dell’unità deve inquietarci; essa deve ardere dentro di noi.

 

3. Cosa possiamo fare? Prima di qualsiasi terapia deve esserci l’analisi. La mia Chiesa, la Chiesa Cattolica,
ha recentemente messo in evidenza in un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede tutte le differenze che purtroppo sussistono, ed ha in questo modo richiamato alla memoria il compito che ancora si presenta
dinnanzi a noi. Io so che molti, in particolar modo molti fratelli e sorelle evangelici, si sono sentiti feriti da ciò. Questo non lascia indifferente neanche me e rappresenta un peso anche per me. Poiché la
sofferenza ed il dolore dei miei amici è anche il mio dolore. Non era nelle nostre intenzioni ferire o sminuire chicchessia. Volevamo rendere testimonianza della Verità, cosa che ci attendiamo anche da parte
delle altre Chiese, e così come le altre Chiese di certo fanno. Anche a noi non piacciono tutte le dichiarazioni fatte dalle altre Chiese,
e soprattutto non ci piace affatto quello che, di quando in quando, affermano sul nostro conto. Ma lasciamo questo da parte. Un ecumenismo di coccole o di facciata, in cui si desidera solamente essere gentili gli uni con gli altri, non aiuta a compiere progressi; solamente il dialogo nella verità
e nella chiarezza può sostenerci nell’andare avanti.

 

Indubbiamente è importante che l’apello alle differenze e ai cosidetti profili, non ci faccia perdere di
vista la più evidente e più importante base comune. Questa considerazione trova chiara manifestazione anche nel citato documento, in cui si dichiara espressamente che Gesù Cristo è presente con
potere salvifico anche nelle Chiese e nelle comunità ecclesiali separate
da noi. E questo non è veramente da poco. Solo qualche decennio fa, dichiarazioni di questa portata sarebbero state ancora totalmente inconcepibili, ed io stesso non sono certo che tutti i nostri partners ecumenici facciano lo stesso anche nei nostri confronti. Le divergenze non riguardano quindi l’essere
cristiano, e non riguardano neanche la questione della salvezza; le differenze fanno riferimento alla questione della concreta mediazione salvifica, nonché alla forma visibile della Chiesa. Sia per i cattolici sia per
gli ortodossi queste non sono affatto questioni marginali, in quanto la Chiesa è formata secondo l’analogia del mistero dell’ Incarnazione (LG 8). Essa è una Chiesa visibile, visibile anche nel suo aspetto
ministeriale.

E chi può negare che in merito a tale questione tra di noi purtroppo non si sia ancora raggiunto un consenso.

 

A questo punto arriviamo tocciamo il vero nodo gordiano, che finora purtroppo non è stato ancora sciolto.
Poichè non siamo concordi sulla comprensione della Chiesa e, per larga parte, neanche sulla comprensione dell’Eucaristia, non possiamo riunirci assieme alla mensa del Signore ed insieme mangiare dell’unico pane
eucaristico né bere all’unico calice eucaristico. Ciò rappresenta un dispiacere e, per molti, un pesante fardello. Non serve proprio a nulla nascondere le ferite; anche se fanno male, bisogna tenerle allo scoperto;
solo così facendo è possibile curarle e, con l’aiuto di Dio, guarirle.

 

4. Dopo l’analisi, lasciatemi dunque spendere una parola sulla terapia. Noi non dovremmo ricercare sempre presso
gli altri la colpa dell’indicibile sofferenza che è già scaturita dalle nostre divisioni. Tutte le commissioni di storici che si sono riunite negli ultimi anni hanno dimostrato che le unilaterali attribuzioni
di colpa, nella maggior parte dei casi sono risultate non sostenibili ad una successiva valutazione storica; in genere la colpa si divide da ambo le parti. Noi dovremmo onestamente riconoscere questo, e quindi chiedere perdono
a Dio e ai fratelli. Un nuovo inizio è possibile solo attraverso la purificazione della memoria. Nessun progresso ecumenico sarà possibile senza conversione e penitenza. Da ciò deve provenire la disponibilità
al rinovamento e alla riforma, che è necessaria in ogni Chiesa e che richiede ad ogni Chiesa di cominciare da se stessa.

 

Nel tentativo di giungere ad un consenso superando tutti i fossati, il metodo delle convergenze usato fino ad ora,
si è dimostrato proficuo, e si è continuato ad applicarlo in molte questioni sinora controverse. Mi ricordo del consenso fondamentale sulla dottrina della giustificazione. Ma nel frattempo questo metodo si è
palesemente esaurito; in questo momento non andiamo più molto avanti su questo sentiero. Per me tutto ciò non rappresenta alcun motivo per cedere alla rassegnazione. Possiamo testimoniare gli uni gli altri le
nostre rispettive posizioni in modo onesto e coinvolgente. Possiamo farlo in maniera non polemica né limitante. Possiamo farlo nella speranza che cosi uno scambio di doni – così come lo ha definito Papa Giovanni
Paolo II – diventi possibile. Questo significa: possiamo imparare gli uni dagli altri. Invece di incontrarci al minimo comune denominatore, possiamo arricchirci vicendevolmente del patrimonio di cui ci è stato fatto
dono.

 

Anche lungo questo percorso, negli ultimi decenni è successo molto di positivo. Noi cattolici abbiamo imparato
dagli evangelici riguardo al significato della Parola di Dio; al momento, loro stanno imparando da noi in merito al significato e alla forma della liturgia. I cattolici e gli evangelici sono grati alle chiese sorelle ortodosse
per un più attento senso per il mistero; in questo modo, tra l’altro, nell’occidente è cresciuto l’amore per le icone. Questi sono esempi che facilmente si potrebbero moltiplicare.

Noi ci conosciamo ancora troppo poco, e per questo ci amiamo ancora troppo poco.

 

Dobbiamo essere coscienti di questo: noi non possiamo “costruire” l’unità; essa non può essere
una nostra opera. Essa è un dono dello Spirito di Dio; Egli solo può riconciliare i cuori. Per questo Spirito di unità noi dobbiamo pregare. L’ecumenismo spirituale rappresenta il centro ed il cuore
dell’ecumenismo. (UR 8).

 

5. L’unità della Chiesa non è fine a se stessa. Nessuno, neanche la Chiesa, vive per se stesso.
Gesù ha pregato a tale proposito, perché tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda (Gv 17, 21). L’unità dei cristiani è subordinata all’unità del mondo e, in particolare
nella nostra situazione, all’unificazione dell’Europa. E’ stata la luce di Cristo che ha unito e reso grande l’Europa. Importanti figure di santi si stagliano all’inizio della storia europea e lungo tutto il suo
percorso: Martino e Benedetto, Cirillo e Metodio, Ulrico, Adalberto, donne come Elisabetta di Ungheria e di Turingia, Edvige di Polonia, Slesia e Germania, Brigitta di Svezia e molti altri. Non si può pensare all’Europa
senza i riformatori, né senza Johann Sebastian Bach, né senza testimoni quali Dietrich Bonhoeffer.

 

Coloro che negano le radici cristiane dell’Europa, possono essere semplicemente invitati a fare una volta un viaggio
da Gibilterra, attraverso Spagna, Francia, Germania, Scandinavia e Polonia fino all’Estonia, oppure da Roma attraverso l’antica Costantinopoli e attraverso Kiev fino a Mosca. Il viaggatore incontrerà le diverse
popolazioni e udrà parlare i diversi idiomi, ma, ovunque, troverà la croce e, nel centro di ogni antica città, le cattedrali. Le radici cristiane dell’Europa possono essere contestate solamente contro
l’evidenza. Le radici cristiane non sono rimaste infruttuose anche nell’era moderna. La concezione moderna della dignità della persona umana, nonché i diritti umani universali, affondano le loro radici nella
tradizione ebraico-cristiana. Non dobbiamo quindi buttar via in toto l’era moderna, quanto piuttosto proteggerla contro l’autodistruzione.

 

Purtroppo l’Europa ha tradito spesso la sua missione: nelle numerose guerre tra popolazioni cristiane, nello sfruttamento
e nell’assoggettamento coloniale di altre popolazioni, nell’ultimo secolo con due spaventosi conflitti mondiali, due dittature nemiche di Dio e dell’uomo, attraverso causa delle quali ha avuto luogo l’olocausto di
sei milioni di Ebrei nel cuore dell’Europa. Oggi l’Europa corre il rischio non solo di tradire i propri ideali quanto piuttosto di dimenticarli in modo banalmente. Il pericolo principale non è rappresentato dall’opposizione
atea quanto piuttosto dalla dimenticanza di Dio, che semplicemente passa sopra i precetti di Dio, dall’indifferenza, dalla superficialità, dall’individualismo e dalla mancanza di disponibilità ad impegnarsi
per il bene comune e a saper sacrificarsi per questo scopo. Non stiamo danzando in questa situazione come su un vulcano e su una polveriera? A tutti i contemporanei attenti le nuove sfide sono chiare da tempo. Ne nomino solamente
alcune: il grido per la giustizia in un mondo globalizzato, dove l’ingiustizia spesso grida verso il cielo, la minaccia attraverso un terrorismo spietato, il confronto sperabilmente pacifico, ma anche necessariamente sincero,
con l’Islam.

 

Una religiosità vana e annacquata ormai non ci aiuta più. Mai la salvezza del cristiano ha coinciso
con l’adeguamento al mondo. “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente”: è il forte invito che ci rivolge l’apostolo Paolo (Rm 12, 2). La nuova evangelizzazione
è il nosto compito. Viene richiesto il pane nero della fede convinta e vissuta. L’Europa non può essere solo una unità economica e politica; l’Europa necessita, se vuole avere un futuro, di una visione
comune e di un comune sistema di valori fondamentali. L’Europa, e questo significa: noi cristiani d’Europa dobbiamo infine destarci; l’Europa deve schierarsi dalla propria parte, dalla parte della sua storia e dei suoi
valori che un tempo le hanno dato grandezza e che possono garantirle un nuovo avvenire.

Questa è la nostra missione comune.

 

Il nostro obiettivo è l’unità dell’Europa, non la sua uniformità. Le diverse culture rappresentano
una ricchezza. Siamo nondimeno legati dalle concezioni della dignità donata da Dio ad ogni uomo, della sacralità della vita, di una convivenza possibile nella giustizia e nella solidarietà, dell’attenzione
nei confronti del creato e di una nuova cultura della compassione e dell’amore.

 

Di questa alternativa seccondo lo spirito del Vangelo noi dobbiamo essere insieme segni, testimoni e strumenti.
Per questo dobbiamo porre l’attenzione all’alterità delle altre religioni, ma dobbiamo anche avere il coraggio per il nostro essere altro, il coraggio della differenza in quanto cristiani, il coraggio di riconoscere
la luce di Gesu Cristo che illumina tutti e di portarla fuori nel mondo che ne ha urgentemente bisogno.

Chi può quindi donarci qualcosa di meglio? Dove troviamo altrimenti tali Parole di Vita? (cfr. Gv 6, 68).