UN CAPRO ESPIATORIO NELLA LOTTA TRA RINNOVAMENTO E RESTAURAZIONE. LE RAGIONI DELLA VISITA APOSTOLICA ALLE RELIGIOSE USA
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"Per me, suor Schneiders ha sviluppato una visione globale, suggestiva e molto impegnativa della natura essenzialmente profetica della vocazione e della missione della vita religiosa, incarnata come dev’essere nella complessa realtà socio-economica, culturale e politica dei tempi moderni", ha scritto, in risposta, sullo stesso settimanale (11/1), il vescovo sudafricano, religioso redentorista, mons. Kevin Dowling, di Rustenburg (suscitando in molti lettori l’interrogativo se non ci fossero vescovi religiosi negli Stati Uniti disposti a condividere la posizione della Schneider). "Ha anche dimostrato chiaramente la sua differenza fondamentale rispetto all’altra vocazione e ministero all’interno della Chiesa, la leadership e il servizio gerarchico". "Sono previste tra i cattolici tensioni e differenze – scrive ancora Dowling – ma devono essere gestite da persone che seguono non la strada del potere e del controllo, bensì quella del discernimento nello Spirito. Allora tutti coloro che sono coinvolti permetteranno in coscienza a Dio di essere Dio e saranno disponibili a riconoscere i ‘frutti’ e il fatto che ‘dai loro frutti li riconoscerete’. Una chiamata ad un incontro rispettoso tra religiosi e gerarchia, con un impegno consapevole all’ascolto di ciò che è più profondo delle parole, di ciò che Dio potrebbe dire tramite l’altro".
E sul rapporto con l’autorità ecclesiastica il vescovo conclude acutamente citando Joseph Ratzinger, che al Concilio Vaticano II sancì il primato della coscienza: "Al di sopra del papa come espressione della rivendicazione vincolante dell’autorità ecclesiastica, esiste la propria coscienza cui bisogna obbedire prima che a chiunque altro, anche, se necessario, contro la richiesta dell’autorità ecclesiastica. Questa enfasi sull’individuo, la cui coscienza gli sta di fronte come un tribunale supremo, e che in ultima analisi è oltre i gruppi sociali esterni, oltre persino la Chiesa ufficiale, stabilisce anche un principio in opposizione al crescente totalitarismo".
Di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese, la prima parte del saggio di suor Schneiders. (ludovica eugenio)
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di Sandra Schneiders
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Quando, alcuni mesi fa, l’investigazione vaticana delle religiose
statunitensi è stata annunciata, senza alcun preavviso né
consultazione, né la cortesia di una comunicazione alle superiore delle
congregazioni su ciò che stava per accadere, molte persone, religiose e
laiche, sono rimaste interdette di fronte a ciò che aveva l’aria di un
attacco a sorpresa contro un obiettivo quanto mai improbabile, dati i
problemi enormi ed irrisolti che toccano il clero e la gerarchia in
questo momento. Continui tentativi di capire quali fossero le accuse e
gli accusatori sono caduti nel vuoto, dal momento che nessuno
virtualmente riteneva che una diminuzione nel numero di candidate alla
vita religiosa costituisse un "crimine" meritevole di una risposta
forte o che un procedimento giudiziario di tale portata fosse istituito
per accertare (e non per promuovere!) la "qualità della vita" delle
religiose.
A poco a poco la pressione da parte di diverse fonti sembra aver
fornito le risposte a queste due domande. Le "accuse" riguardano il
fatto che le congregazioni del tipo Lcwr (Leadership Conference of
Women Religious), che rappresentano la grande maggioranza delle
religiose nel Paese, hanno compiuto nelle loro vite e nei loro
ministeri cambiamenti richiesti dal Vaticano II a danno (come indica la
diminuzione del numero delle vocazioni) della vita religiosa stessa. Il
cardinal Rodé (la più alta autorità a Roma per la vita religiosa)
ritiene, per usare le sue parole, che il Concilio abbia causato la
prima "crisi mondiale" nella storia della Chiesa e che le religiose
siano quelle che più hanno provocato questa crisi negli Stati Uniti.
Gli "accusatori" sono rappresentati da un piccolo gruppo di religiose
estremamente conservatrici che, nel settembre 2008, hanno tenuto una
conferenza allo Stonehill College nel Massachusetts, alla quale hanno
invitato il card. Rodé. A questa conferenza, che non prevedeva una
presentazione di posizioni diverse dalle loro, hanno processato in
contumacia la vita religiosa ministeriale contemporanea, trovandola
gravemente deficitaria e hanno lanciato il grido: "Investigatele!".
Il cardinal Rodé, ascoltato ciò che riteneva ampiamente condiviso, e
cioè che la vita religiosa apostolica femminile negli Stati Uniti era
in grave crisi, ha concluso: "Non abbiamo ulteriore bisogno di
testimoni". Purtroppo non ha consultato le molte migliaia di laici
cattolici che hanno ricevuto dalle religiose una formazione di fede, un
continuo supporto spirituale e una cura pastorale in periodi difficili
e che ora stanno esprimendo la loro solidarietà con petizioni e lettere
personali di protesta al cardinale, alla visitatrice, al delegato
apostolico e agli ordinari locali come pure attraverso testimonianze
individuali e collettive (si veda ad es. l’articolo della rivista U.S.
Catholic, Entered into Evidence [75,1, Gen. 2010]).
Il cardinale non ha provveduto a consultare i vescovi moderati, come
quelli della California, che hanno testimoniato pubblicamente come
senza le religiose le loro diocesi non sarebbero potute diventare
quello che sono e non funzionerebbero come funzionano oggi. Non ha
provveduto a consultare gruppi significativi di religiosi al di fuori
degli Stati Uniti, come Amor (Conferenza delle religiose in Asia e in
Oceania) e l’Uisg (Unione internazionale delle Superiore generali a
Roma), che hanno espresso in dichiarazioni pubbliche il loro
apprezzamento, il loro appoggio e la loro solidarietà alle consorelle
statunitensi. Non ha provveduto a consultare le consorelle stesse che
avrebbero potuto illuminarlo sulla portata e sul pregiudizio ideologico
dell’unico piccolo gruppo di religiose con cui ha parlato e sui pochi
vescovi destrorsi, in questo Paese e a Roma, che ha ascoltato.
Molte persone, tra cui molti religiosi, ritengono che questa
investigazione sia un attacco senza precedenti alle religiose. Il suo
obiettivo può anche essere inedito, ma il suo contenuto certamente no.
Molte congregazioni religiose in questo Paese, forse la maggior parte
di esse, hanno nei propri archivi documenti e corrispondenza che
rimandano a conflitti analoghi o persino più gravi tra il loro ordine e
le autorità ecclesiastiche. Queste testimonianze, che risalgono a
decenni o persino a secoli fa, parlano di minacce e intimidazioni tese
a consolidare politiche o prassi di violazione delle coscienze (come la
discriminazione razziale) istigate da membri della gerarchia, di
sanzioni drastiche per insubordinazione in questioni in cui il clero
non aveva giurisdizione, di retrocessione e persino di esilio
permanente senza debito processo di superiore elette in modo legale e
grandemente rispettate (tra queste anche delle fondatrici), nomine
senza elezione di governi compiacenti, interferenza nella nomina di
religiose, chiusura unilaterale di istituzioni, accettazione forzata di
apostolati non consoni alla congregazione, e persino furto palese di
patrimoni finanziari, per citare solo gli esempi più eclatanti.
Molte religiose, fino a poco tempo fa, non conoscevano questa parte
della storia delle proprie congregazioni. Queste lotte, spesso
protratte e traumatiche, hanno rappresentato pagine oscure che, come
avviene a molte vittime di abusi, le vittime istituzionali (le
congregazioni) cercavano di seppellire o dimenticare. Anche quando le
vittime di abusi sanno razionalmente di non avere colpa di ciò che è
loro accaduto spesso provano una profonda vergogna, la sensazione di
essere in qualche modo responsabili di aver provocato l’abuso, di
essere "beni danneggiati" per ciò a cui si è stati sottoposti
(specialmente se vi è un’ampia disparità di potere e/o condizione tra
responsabile e vittima), di volere soltanto che ciò scompaia, nella
speranza che non accada più.
Ovviamente ciò sta ancora accadendo. La dispensa forzata dai voti di
molte religiose del Cuore Immacolato di Maria di Los Angeles (comunità
che aveva votato all’unanimità cambiamenti nel proprio ministero sulla
scia delle istanze del Vaticano II e che per questo motivo era entrata
in collisione con l’arcivescovo locale, ndt), alla fine degli anni ’60,
ad opera del card. James F. McIntyre, furioso per non riuscire a
sottomettere queste donne alla sua volontà; gli anni di lotta da parte
delle superiore che rifiutavano di andare contro la coscienza delle
ventiquattro religiose che, nel 1984, avevano firmato una dichiarazione
sul New York Times che chiedeva una discussione onesta (non un
cambiamento nella dottrina o nella pratica) sul tema dell’aborto che
stava gravemente dividendo il Paese e la Chiesa; tentativi, alcuni
riusciti altri no, di forzare le dimissioni di religiose nominate
legittimamente dalle loro superiore a ricoprire determinati ministeri,
e così via, appartengono alla memoria di molte religiose oggi in vita.
In altre parole, non c’è niente di nuovo (eccetto forse l’obiettivo
globale dell’attuale investigazione) nella lotta tra elementi della
gerarchia e religiose.
L’obbligo dell’obbedienza cieca
Uno degli aspetti più pericolosi e caratteristici di questi episodi è
l’appello pervasivo ad un presunto obbligo all’"obbedienza cieca
all’autorità gerarchica" come legittimazione per il controllo, persino
per l’abuso, delle religiose da parte del clero. Il tema nevralgico del
significato dell’obbedienza è centrale per l’investigazione corrente ed
è importante capire che esso non è nuovo, non è un precipitato degli
sviluppi della società americana del tardo XX secolo o della Chiesa
post-conciliare, e che molto probabilmente non verrà risolto da un
pesante esercizio di potere coercitivo. Questo tema, nei suoi aspetti
religiosi e sociali, ha le sue radici nel Vangelo e nella vita di Gesù
e verrà chiarito soltanto da una riflessione fedele alle Scritture,
dalla preghiera, da un’azione coraggiosa.
Esiste un parallelo istruttivo tra le domande che le religiose stanno
ponendo a proposito dell’investigazione vaticana (e che hanno fatto
anche prima, molte volte, in simili situazioni) e le domande che gli
studiosi (e molti credenti comuni) avanzano rispetto al processo e
all’esecuzione di Gesù. Esiste la tendenza a fermarsi al "Chi è
responsabile della morte di Gesù?" e "perché Gesù è stato ucciso?"
(così come ci si domanda: chi è responsabile di questa investigazione e
quali sono le accuse?).
Ad un primo livello, si possono trovare facilmente le risposte in uno
studio attento dei testi evangelici. Gesù è stato ucciso dalla
collusione tra élite politica (impero romano) e religiosa (gerarchia di
Gerusalemme) nella Palestina del primo secolo. È stato ucciso perché il
suo ministero minacciava di provocare una rivolta dei contadini
palestinesi che sarebbe stata fatale alla carriera del governatore
romano Ponzio Pilato, il cui compito era quello di tenere sotto
controllo la provincia giudaica, e ancora più disastrosa per la
leadership giudaica, la quale poteva conservare la sua piccola autorità
sulle questioni religiose e sulla popolazione solo nella misura in cui
il popolo ebraico non diventava un problema per l’impero.
Ma questa motivazione fondamentalmente politico-religiosa è solo una
prima risposta alle domande relative al "chi" e al "perché". Non ci fa
capire ciò che realmente dobbiamo sapere su Gesù e la sua missione se
vogliamo comprendere la difficile situazione umana da cui è venuto per
salvarci e la radicalità della soluzione a quella situazione che Dio ci
ha offerto in Gesù. Finché non comprendiamo che è davvero la razza
umana, compreso me/noi, piuttosto che alcune figure storiche nella
Palestina del primo secolo, ad aver crocifisso Gesù, non possiamo
realmente "capire". Finché non comprendiamo che la ragione di
quell’uccisione è antropologica, teologica, soteriologica, piuttosto
che meramente politica o religiosa, e che quei fattori permeano
l’esperienza di tutta la razza umana, non abbiamo cominciato a cogliere
veramente il significato reale del mistero pasquale e il nostro
coinvolgimento in esso.
Il ministero profetico di parola e azione di Gesù non è stato solo una
minaccia per i particolari sistemi di dominio di Roma e Gerusalemme. È
stato un sovvertimento radicale del dominio in sé come struttura
demoniaca operante nella storia umana. L’incarnazione è stata la
rivelazione di Dio in Gesù, la rivelazione che Dio non è un potere
supremo che controlla l’umanità grazie al terrore della condanna o
dell’estinzione, né che legittima i sistemi di dominio umani, ma Colui
che ha scelto l’amore per noi fino alla morte per liberarci di tutte le
paure e condurci alla "libertà dei figli di Dio".
Gesù ha rappresentato la fine di tutti i sistemi di dominio da parte di
un potere esercitato da pochi sui molti. Nessun sistema del genere,
politico o religioso, potrebbe più rivendicare di essere sancito da
Dio. È stato il sovvertimento definitivo del modo umano violento di
gestire il mondo da parte del modo pieno di amore di Dio di attrarre il
creato, noi compresi, verso l’unione con Dio stesso a costituire la
minaccia che Gesù in definitiva rappresentava. Il "mondo" demoniaco, il
regno di Satana, era reso vano da Gesù che portava in vita una nuova
creazione, un "mondo" del tutto diverso che "Dio amava così tanto da
dare il suo unico Figlio".
In questa nuova creazione coloro che detenevano il potere, Roma e
Gerusalemme, maschi e padroni, forti e ricchi, erano finiti. Ecco
perché egli doveva essere ucciso. Le ragioni storiche erano vere. Ma
erano l’espressione locale, superficiale, della ragione più profonda
che implicava il ri-orientamento dell’intera storia umana.
Analogamente, non è particolarmente complicato o illuminante immaginare
che la vita religiosa delle donne venga usata come capro espiatorio
simbolico nella lotta di potere in atto nella Chiesa contemporanea tra
i promotori del rinnovamento inaugurato dal Vaticano II e un programma
di restaurazione tridentina. Né è difficile individuare chi abbia
interessi nell’esito di questa lotta. (Questo non significa che la
posta in gioco non sia alta o che dovremmo tenere un atteggiamento di
maggiore semplicità riguardo alla portata del danno che ne potrebbe
derivare).
Come l’impero e il tempio erano minacciati dalla crescente presa di
coscienza tra gli oppressi in Palestina, così la struttura di potere
assolutista nella Chiesa istituzionale è minacciata dalla crescente
consapevolezza del popolo di Dio riguardo alla propria identità e
missione come corpo di Cristo. Come Gesù è stato un veicolo di
promozione da eliminare prima che "sollevasse la popolazione", così
quanti nella Chiesa, leader laici, pastori, vescovi ed altri – ma
soprattutto religiose – stanno promuovendo il rinnovamento conciliare
devono essere tenuti sotto controllo se non si vuole che la "crisi" di
cui parla il cardinal Rodé esploda e provochi una rivendicazione
radicale dell’identità di popolo di Dio e della missione in solidarietà
con il mondo che Dio ha tanto amato.
Un bersaglio particolarmente importante
Ma perché proprio le religiose? Quando esaminiamo l’investigazione
delle religiose, non dobbiamo trascurare la soppressione di iniziative
laicali, il divieto per i vescovi progressisti di recarsi nelle diocesi
dei vescovi tradizionalisti, il lancio di scomuniche, il rifiuto di
amministrare i sacramenti o di dare una sepoltura cristiana, le
condanne pubbliche di politici e teologi cattolici, ecc. Non è un fatto
storicamente occasionale e le religiose non sono l’unico bersaglio.
Le religiose, però, sono un bersaglio particolarmente importante per
diverse ragioni. Primo, per il loro numero e la loro influenza. Le
religiose non sono solo appassionatamente impegnate rispetto ai propri
obiettivi spirituali e ministeriali e verso Gesù Cristo che le ha
chiamate a questa vita. Sono anche le maggiori promotrici della visione
del Vaticano II: le più numerose, meglio organizzate, più diffuse
geograficamente e più diversificate dal punto di vista dei ministeri e
pertanto probabilmente più efficaci. Per qualcuno, certo, ciò significa
che, come hanno testimoniato molti cattolici laici, le religiose
rappresentano la più grande fonte di speranza per la Chiesa
contemporanea. Per altri, ciò significa che esse sono il più grave
pericolo per la "Chiesa reale" (cioè preconciliare) che costoro stanno
cercando di restaurare.
Secondo, in quanto figure dalla veste relativamente pubblica nella
Chiesa, le religiose sono un facile bersaglio. Il tentativo
dell’investigazione di identificare per scritto ogni singola religiosa
nel Paese per nome, cognome, indirizzo e ministero è sembrata a chi
aveva occhi per vedere decisamente più di una ricerca di routine.
Terzo, gli obiettivi di questa investigazione sono tutte donne. I
religiosi, il cui numero è diminuito tanto nettamente quanto quello
delle donne, non sono sotto investigazione anche se, nella revisione
del 1983, il diritto canonico (§ 606) ha specificato che religiose e
religiosi devono essere trattati alla pari a meno che qualche ragione
specifica (non fondata sul genere in quanto tale) non renda necessario
un trattamento differenziato. La Chiesa cattolica romana è
l’organizzazione più decisamente patriarcale nel mondo occidentale. Il
mantenimento delle donne in una posizione assolutamente subordinata
all’autorità maschile è decisivo per la sopravvivenza del patriarcato.
Ma, come avviene riguardo all’uccisione di Gesù, nella domanda sul
"perché" e sul "chi" di questa investigazione c’è qualcosa di molto più
importante in gioco per le religiose, cioè il significato della loro
vita come partecipazione alla missione profetica di Gesù piuttosto che
come sistema di supporto ad una struttura di potere ecclesiastica.
Quale idea della teologia e della spiritualità della vita religiosa
ministeriale come forma profetica di vita nella Chiesa è in ballo?
Quale idea del ruolo critico dell’obbedienza religiosa nell’esercizio
di quella vocazione profetica è in discussione man mano che si sta
svolgendo l’attuale dramma?
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da Adista Documenti n. 11 del 06/02/2010