Laboratorio Sinodalita Laicale

Silenzi e interventi nella comunicazione pubblica della Chiesa

Ci rivolgiamo a coloro che sempre più spesso ci capita di incontrare: donne e uomini non solo in disagio, ma in profonda crisi per il modo in cui si svolge il rapporto tra Chiesa e società civile, soprattutto in Italia. Vorremmo esprimere solidarietà e condivisione nei confronti della loro disaffezione e della loro sofferenza.
Sia coloro che sono in ricerca di una fede più matura e consapevole, sia molti di quanti si dicono non credenti si trovano da parecchi anni accomunati nel patire scandalo a causa di alcune contraddizioni della comunicazione ecclesiastica. Grande infatti è lo sconcerto che nasce di fronte al contrasto che tutti avvertiamo tra interventi e silenzi. A volte discutibili, nella forma e finalità, i primi; spesso incomprensibili o interessati, i secondi. In entrambi i casi ci sembrano un parlare e un tacere sempre più lontani dalle esigenze della testimonianza evangelica e dall’eredità del Concilio.

Anche noi – come Laboratorio di Sinodalità Laicale (LaSiLa) composto da
credenti e da persone in libera ricerca – registriamo questo scarto.
Insieme abbiamo intrapreso un cammino comune come persone cui stanno a
cuore le sorti dell’evangelo nella storia e la ricerca di autenticità
umana in dimensione anche sociale e civile. Su questa base è stato
possibile incontrarsi su un piano paritario: i credenti sostenuti
dall’essere discepoli dell’evangelo, i non credenti dal riconoscere
l’evangelo come un riferimento significativo nell’indicazione di
percorsi di umanizzazione.
Noi vorremmo, senza pregiudiziali contrapposizioni polemiche, cercare di
dare voce a questa “insurrezione interiore” di molti, consapevoli che
di fronte a questioni complesse e urgenti un buon metodo per affrontarle
sia ragionare e comprendere, procedendo con umiltà e franchezza alla
luce dell’evangelo. Questo implica anche la coscienza che ci possano
essere posizioni diverse nella Chiesa, la rinuncia alla pretesa di
possedere in esclusiva la verità e la consapevolezza che anche le
nostre insufficienze personali appesantiscono la testimonianza.
Ambiguità come deficit di credibilità
A che cosa stiamo assistendo? Da un lato ad un iperattivismo di
interventi da parte della gerarchia, che sembra puntare solo su certi
principi e valori identificati come “i valori etici” tout court,
considerando rilevanti le condotte individuali attinenti soprattutto
alla sfera dell’inizio e fine vita e della sessualità. Non che manchino
segnali anche recenti di attenzione ad altre dimensioni, ma questi
ultimi non presentano lo stesso tono perentorio e ultimativo dei primi,
che mirano invece ad un intervento diretto nella legislazione statuale.
Dall’altro lato constatiamo un silenzio da parte di quegli stessi
vertici, una reticenza a chiamare male il male, che può far pensare ad
un tacito, forse neppure del tutto consapevole, accordo tra una Chiesa
lasciata detentrice di “valori non negoziabili” sul piano etico, ed una
politica “lasciata in pace” anche quando si violano le norme poste alla
base della convivenza civile, intorbidando così la parresia evangelica
in un gioco di alleanze tra poteri. L’ambiguo intreccio tra trono e
altare, in cui l’uno si appoggia all’altro, è quanto di più lontano
possa esservi dalla logica evangelica. E’ consapevole oggi la Chiesa del
rischio di divenire “cappellania” del potere di turno?
Laboratorio Sinodalità Laicale    Pagina 1
La deriva della democrazia
In Italia è in atto da anni un progressivo tentativo di smantellamento
delle istituzioni democratiche e repubblicane a favore di una conduzione
individualista e populista del potere politico. Questa deriva mira a
sottrarre il principe e i suoi adepti a regole di moralità e di
legalità. Per attuarla si cerca di allargare il consenso clientelare e
si continua a “drogare” l’opinione pubblica ora con la menzogna
nell’informazione, ora con la spettacolarizzazione della politica, ora
con la liberalizzazione della trasgressione in cui possano identificarsi
i più diffusi istinti umani. Si tenta di eliminare la divisione dei
poteri per accentrarli nell’esecutivo sottratto ad ogni controllo, di
riformare la giustizia per toglierle la possibilità di giudicare gli
eventuali reati di chi è al potere, di ignorare le incompatibilità e i
conflitti di interesse nella gestione della cosa pubblica, di
criminalizzare ogni opposizione attribuendo la difesa delle comuni
regole democratiche e della Costituzione repubblicana a presunte
faziosità ideologiche. Di fronte alla gravissima caduta della qualità
della vita civile, sociale e culturale del Paese e al crollo politico
dell’immagine internazionale dell’Italia, i silenzi ecclesiastici sono
apparsi assordanti; sembravano infatti esprimere un tacito e interessato
consenso o forse una paura a rompere l’omertà per non inimicarsi i
poteri politici e perdere privilegi. In ogni caso hanno creato scandalo,
perché isolate o timide sono state le voci autorevoli che hanno
manifestato una decisa presa di distanza.
Questo grave decadimento dell’ethos sociale e della convivenza civile ha
conseguenze ben più negative di quelle che deriverebbero dai
provvedimenti legislativi contro cui solitamente si scaglia la denuncia
ecclesiastica negli interventi pubblici. Come mai per questioni ben più
negative e devastanti si tace? Non vogliamo pensare che gli organi
ecclesiastici non siano in grado di rendersi conto della gravità della
situazione in atto.
La giusta opzione ecclesiale di non scendere nell’agone politico, ma di
essere al di sopra delle parti che concorrono democraticamente a
individuare e perseguire il bene comune e il pubblico interesse, è
fuori discussione. Anzi vorremmo che venisse osservata con più rigore.
Ma i silenzi da parte ecclesiale non si giustificano quando è alle
regole della democrazia che si sta attentando, quando privati interessi
sono fatti passare per bene pubblico, quando alleanze e compromessi con
la criminalità organizzata prevalgono sulla legalità nella vita
pubblica, quando ci si vuole disfare in modo unilaterale dei fondamenti
costituzionali della vita civile e a pagare sono soprattutto i deboli e
gli emarginati.
La credibilità di una diaconia
Di fronte a fatti di questa portata e al silenzio ecclesiastico è in
gioco la credibilità della diaconia cristiana al servizio della
società. Quando si tratta di far sentire una voce critica e forte si
tace, mentre si interviene quando la gravità della posta in gioco non
ha affatto lo stesso peso specifico. Diceva Gesù:”Queste cose bisognava
curare, senza trascurare le altre” (Lc 11,42).
Nasce il sospetto che la voce ecclesiastica, quando interviene sulle
questioni eticamente sensibili, lo faccia più per attivare battaglie
identitarie che non per servire in modo vero e disinteressato l’ethos
della società. Le rivendicazioni ecclesiastiche in campo etico, per
come
Laboratorio Sinodalità Laicale    Pagina 2
sono formulate e comunicate, sembrano spesso fungere da slogan e
bandiera all’interno della propria identità confessionale, per ottenere
che i fedeli facciano quadrato e si possano riconoscere e contare. In
questi contesti e con queste prospettive il senso del servizio alla vita
sociale del Paese appare assai sfocato. La Chiesa con questo tipo di
silenzi non solo perde una grande occasione di testimoniare la propria
diaconia al mondo in cui vive, ma anche tradisce l’istanza evangelica
della sequela del Signore. E ciò è davvero di ostacolo alla sua
credibilità nel mondo e alla perseveranza nella fede di molti.
Troppo raramente negli interventi delle autorità ecclesiastiche si
rintraccia uno sguardo profetico capace di ascoltare i gridi, le
sofferenze e le speranze di un Paese che cambia. Al fondo vi è
certamente uno scarso discernimento nel vedere l’opportunità evangelica
di una Chiesa di minoranza. Si rincorre ancora il mito della “Chiesa
forte”, intenta ad essere visibile e presente nello spazio lasciato
aperto dal logoramento delle ideologie: una nostalgia strisciante del
mito della christianitas, riproposto come àncora necessaria per
scongiurare la deriva di una società frammentata e policentrica. Ma
questa propensione sottende un grave fraintendimento del messaggio
evangelico: pensare che la fede non possa affermarsi senza l’appoggio
dei poteri di questo mondo, senza “progetti culturali” che la sostengano
e favoriscano la “riconquista” delle anime.
Sembra quasi che le autorità ecclesiastiche si trovino più a proprio
agio con una politica senz’anima che con una politica capace di avere
visioni complessive, ideali, valori, a meno che questi non coincidano in
buona sostanza con la dottrina cattolica. Anche da una parte della
sponda laica si riscontra una richiesta strumentale di poter disporre
dei “valori cristiani” come di una sorta di “vaso degli dei”, utile a
mantenere unita la società e a colmarne bisogni insoddisfatti. In tal
modo non si rischia di ridurre la Chiesa ad una lobby di pressione
etica?
La Chiesa non è forse chiamata in primis ad essere segno visibile di
quel non-conformismo cristiano che significa anzitutto vicinanza e
ascolto dei desideri e delle aspirazioni degli uomini e delle donne,
cristiani e non? Con un’intransigenza selettiva non si rischia di
chiudersi ai segni dei tempi e ai gridi – magari ambigui e persino
blasfemi, ma tuttavia umani – di tanti che piangono?
L’evangelo di Gesù ha certamente introdotto nella storia una radicale
esperienza di libertà, annunciando la liberazione dalle schiavitù, da
ogni male e dalla morte, dalla sottomissione ai vari poteri di questo
mondo, dalle costrizioni anche del “religioso”, promuovendo un senso
forte della libertà. Come mai allora, la Chiesa viene dai più
percepita come agenzia di norme ingessate, fuori dal tempo in cui
viviamo, limitanti e mortificanti la libertà propria e altrui? Sanno i
cristiani che non possono abbandonarsi al conformismo perché loro per
primi sono chiamati nella e alla libertà?
Guardando avanti
Forse dobbiamo fare tutti un “salto di qualità” verso una fede che
riconosca come la convivenza all’interno della Chiesa di opinioni
differenti, adeguatamente motivate, sia una risorsa – e non un danno –
per la comunità ecclesiale. Riconoscere e confrontare opinioni diverse
costituisce
Laboratorio Sinodalità Laicale    Pagina 3
infatti un passaggio ineludibile per quel discernimento che conduce
all’ascolto dell’unico Spirito. Sulla base della nostra esperienza
abbiamo riscontrato come tentare la pratica della sinodalità possa
essere un antidoto allo scollamento strisciante tra vertice e base cui
stiamo assistendo. È l’essere stesso della Chiesa ad esigere una
elaborazione sinodale qualificante, che non può essere vista solo come
mezzo, bensì come un fine in sé.
Ciò che riguarda tutti deve essere da tutti anzitutto conosciuto e poi
discusso attraverso un percorso di comprensione e di accoglienza
reciproca. Solo sperimentando “un sentire inclusivo” la Chiesa può
aprirsi alla comunicazione universale (l’essere “cattolici” in senso
autentico), intervenendo come “sale” nel corpo sociale. L’essere
“cattolici” infatti dovrebbe implicare prima di tutto l’accettazione di
una pluralità di forme di vita cristiana e di intelligenza della fede.
Si uscirebbe così proprio da quel mito dell’unanimismo, il quale fa
temere che una disparità di opinioni su singole questioni indebolisca
l’Annuncio. I cristiani hanno il pieno diritto di partecipare insieme
agli altri attori al pubblico dibattito, così come va tutelata una
rispettosa libertà di espressione da parte delle autorità
ecclesiastiche, senza però che ciò si trasformi in un’azione
strategicamente mirata ad influenzare con ogni mezzo la deliberazione
politica.
Solo la logica del “camminare insieme” (syn-hodos) può plasmare il
sentire e il vivere con uno stile cristiano: ogni gesto ecclesiale deve
nascere dall’ascolto del “compagno di viaggio”. Per far questo occorre
che si passi dalla ricerca di un’improbabile christianitas al cammino,
gioioso e faticoso insieme, verso una communitas che tenga ai margini
ogni deriva individualistica e abbia come opzione caratterizzante quella
per i poveri e gli emarginati. Se non ci fosse anche nello spazio della
polis l’attenzione a quelle che comunemente chiamiamo “vittime della
storia”, mancherebbe un elemento decisivo nei rapporti sociali e ciò
configurerebbe anche per il cristiano una grave responsabilità.
Possiamo sperare in una Chiesa che, rinunciando alla tentazione di
“mostrare i muscoli” o di “contarsi”, presti più cura alle storie
personali? Una Chiesa cioè, che abbia a cuore l’originalità di
ciascuno dei suoi membri, consapevole del fatto che a vivere la sequela
ci sono anzitutto persone?
Se riuscirà ad essere portatrice di uno stile nuovo di relazione
interna e di comunicazione esterna, essa potrà essere in grado di
“liberare un’obbedienza creativa e creatrice” nei confronti dell’unico
evangelo.
Laboratorio Sinodalità Laicale (LaSiLa)
c/o San Gottardo al Palazzo Reale Via Palazzo Reale, 4 – 20122 Milano e-mail: la.sila@libero.it
Laboratorio Sinodalità Laicale
Pagina 4