Una teologia senza potere
di Giancarla Codrignani
Adriana Zarri è stata ricordata alla Pontificia Facoltà Marianum di Roma, su iniziativa di Cettina Militello, a un anno dalla sua scomparsa (v. Adista n. 90/10), lo scorso 24 novembre: un incontro “affettuoso”, in cui sono state rievocate la personalità e l’opera di una teologa assolutamente indefinibile rispetto alla tradizionale definizione accademica. D’altra parte non è più possibile limitare la teologia alla sistematica, per normali esigenze di rinnovamento storico, ma soprattutto perché nella teologia sono entrate le donne. E anche in questo Adriana, pur non femminista (Adamo, e non Eva, resta il suo referente teologico e ideologico), ha dato il suo contributo.
Secondo Vito Mancuso, per non pronunziare invano il nome di Dio, «inderogabile condizione è parlare in prima persona singolare… l’io/Io», dove l’Io maiuscolo non è una monade isolata, ma è relazione (e Carlo Molari gli chiede se non si debba allora dire «noi»). Ad Adriana ragionamenti così interessavano relativamente, anche se il suo Dio trinitario era «relazione» e lei stessa pensava al fondamento relazionale, sia con Dio, oggetto e soggetto di amore; sia con tutti nella preghiera, l’amicizia, la testimonianza. E la testimonianza non la chiudeva nell’eremo-guscio-di-lumaca, ma le consentiva perfino gli articoli sul manifesto e la presenza in televisione.
Qualcuno l’ha criticata come la «teologa dall’ombelico in giù», ma il suo obiettivo era schiodare il mondo cattolico dal pregiudizio di una peccaminosità umana ridotta in gran parte alla sessualità: credeva motivatamente alla possibilità di un recupero della purezza originaria della corporeità, offesa dal sessismo di una mancata «teologia del ventre» che platonicamente non attingerebbe all’intelligenza (e il romanzo Quaestio 98 chiarisce la sua radicalità).
Non sono state poche le ragioni di dissenso con l’ufficialità vaticana, soprattutto quando ha visto richiudersi le aperture del Concilio Vaticano II, giustamente ritenute essenziali per la vita di quella Chiesa («la Chiesa nostra figlia») a cui ha sempre tenuto ad appartenere. E non si può non riconoscere la tempestività delle sue denunce di mancata fedeltà a un Concilio convalidato dalla presenza dello Spirito.
Convinta che l’evoluzionismo sia una certezza scientifica, non si rassegnava a pensare che quel Dio che aveva aspettato che il caos si facesse uomo riconoscesse come persona uno zigote; e così, con ben altro convincimento, quello della carità cristiana dovuta sia alla donna che rinuncia al concepimento non voluto, sia a quella che, al contrario, desidera una maternità irrealizzabile secondo natura (quale, poi?), stava dalla parte delle donne. Lei, che un amico ricorda come «la donna della preghiera», che aveva nel silenzio l’accesso all’inaccessibile, non si precludeva l’indignazione: contro la crisi che pre-esiste, il consumismo, il degrado indecente delle istituzioni con il governo Berlusconi e con la critica dura a quanti ne subivano il potere.
* Saggista, già parlamentare della Sinistra Indipendente
da: Adista n. 92