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La filosofia della differenza è figlia della necessità di riprendere e ribaltare la dialettica hegeliana nella possibilità di aprire spazi di non conciliazione, di liberazione affermativa, all’interno di una visione della filosofia proiettata alla chiusura del cerchio, dove il cerchio è una metafora per le narrazioni filosofiche portatrici di una visione teleologica rassicurante. I filosofi francesi della differenza, tra i quali: Deleuze, Derrida e anche Michel Foucault hanno svolto l’impegno di rinnovare, nel nome di Nietzsche e utilizzando Heidegger ma anche la fenomenologia e altre linee di pensiero, il tarlo della differenza dentro lo spazio del pensiero filosofico mettendo a tema il Soggetto – con Kant, ma contro Kant – per sviluppare una riflessione teoretica, morale e politica attorno al nodo istituito da POTERE, SAPERE, SOGGETTO. Il pensiero della differenza sessuale, di cui figura aurorale è Luce Irigaray, ha preso l’indicazione concettuale dei philosophes e l’ha articolata in modo del tutto dirompente con la filosofia stessa e con tutte quelle discipline che avevano scambiato l’Uomo con l’umanità – quindi avevano marginalizzato, eliminato, misconosciuto – la differenza delle donne e la loro inconciliatezza con il modello patriarcale e quindi filosofico – metafisico della chiusura del cerchio. Il pensiero multiculturale di matrice canadese ha elaborato una complessa e articolata, anche controversa e difficilmente conciliabile con le istanze femministe, proposta di analisi politica della differenza culturale, utilizzando molte indicazioni teoriche e strategiche del femminismo della differenza.
In queste pagine darò conto di alcune riflessioni sul pensiero della differenza che si sposta tra questi tre versanti di analisi, lavorando anche sulle dinamiche dell’attualità …
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Senza una cultura femminista non si può sconfiggere il femminicidio
Dire che il femminismo non c’entra nella discussione attorno al femminicidio è come dire che si può fare a meno di una cultura di liberazione affermativa che è simbolica, soggettiva, collettiva, e che va nella direzione di apertura di spazi democratici per donne e uomini, al fine di combattere la violenza simbolica, soggettiva, collettiva, che colpisce le donne in quanto tali per mano di uomini e con la complicità di uomini e donne … A mio avviso è proprio qui il problema, non si può analizzare come non si può combattere il backlash del patriarcato – l’odio nei confronti delle donne che equivale anche e soprattutto a deprivarle di valore simbolico e di possibilità di vita indipendente, senza il femminismo o se vogliamo i femminismi. Ma di quale femminismo abbiamo bisogno? Di una visione democratica – così come ricordato tante volte da Judith Butler, di un femminismo che non abbia paura di se stesso e della sua pluralità, del conflitto costruttivo nel dare voce al superamento di una visione unica e totalizzante che si chiama patriarcato (vivo, morente o in qualsiasi stato di salute sia) che oggi soffoca tutte e tutti. I tentativi italiani di riprendere le fila di un discorso collettivo e quindi politico di donne, necessario per sviluppare una teoria femminista in grado di leggere, interpretare e combattere le nostre attuali oppressioni (nostre di donne e uomini, perché anche gli uomini soffrono il patriarcato) sono stati molteplici e in tutti i casi c’è stato tanto pudore nel sostenere, nel dire forte e chiara la parola femminismo. Eppure se solo ricordassimo le parole delle nostre sorelle del passato, se solo non avessimo paura le une delle altre e della grandissima potenzialità del nostro essere libere insieme, forse potremmo davvero dare una svolta alla tanta sofferenza che viviamo singolarmente e soprattutto a quella sofferenza culturale che alcune di noi – che sono sole – si ritrovano a vivere, incomprese da una società che fa finta di nulla perché non ha strumenti culturali per capire.
Faccio un esempio: una donna violentata dal marito che si confida con la madre, con la sorella e con le amiche ha poche probabilità di essere capita e aiutata, magari di trovare qualcuna che la sostiene nel denunciare, nell’ allontanarsi, nel prendere in esame che quella da lei subita è una violenza e rientra nel quadro del femminicidio (da questo tipo di sopraffazione all’omicidio il passo è stato compiuto tante volte). Più facile trovare donne che non le credono o che la biasimano perché magari il marito è stato più esplicito del solito, lei quindi meno propensa all’atto sessuale e per questo ha forse lei sbagliato approccio. Questo accade perché non si è radicata una cultura femminista, una visione del mondo in cui le donne non sono asservite sessualmente agli uomini, ma sono soggetti liberi di scegliere e di vivere una sessualità indipendente dalla sessualità maschile.
Adrienne Rich, recentemente scomparsa, ha scritto pagine illuminanti su questo tema e il femminismo italiano all’epoca della pratica dell’autocoscienza e dell’esperienza (di vita e pensiero) di donne come Carla Lonzi, non aveva paura di sostenere la libertà sessuale come spazio di responsabilità per sé e per le altre donne. Ecco perché, con intento forse didattico per le giovani generazioni, e con infinito amore e rispetto per le ragazze e le donne che sono state uccise o che hanno vissuto la violenza del femminicidio durante la loro vita, riporto brevemente e a punti il pensiero di Adrienne Rich, contenuto nel fondamentale saggio: Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica, pubblicato nel DWF “nero” n. 23/24, dalla redazione guidata da Annarita Buttafuoco dedicato all’Amore Proibito. Ricerche americane sull’esistenza lesbica.
Rich nel suo saggio del 1980 traccia chiaramente le linee di quello che oggi chiamiamo femminicidio, come orizzonte di violenza contro le donne – in quanto donne – delle società patriarcali. Da questo quadro occorre riprendere il discorso femminista per lavorare sulla nostra società con incisività e soprattutto nell’ottica di tenere insieme le generazioni contro ogni possibile vittimismo e per una libertà simbolica e un’alleanza costruttiva vissuta dalle donne e dagli uomini.
(Tra parentesi le mie
integrazioni)
1 “Negare alle donne il diritto
alla nostra sessualità: attraverso la clitoridectomia e l’infibulazione; le
cinture di castità; forme di punizione, compresa la pena di morte, per
l’adulterio femminile e per la sessualità lesbica; negazione psicanalitica
della clitoride, biasimo censorio contro la masturbazione; negazione della
sessualità in gravidanza e in menopausa; isterectomia (obbligata o forzata) o
non necessaria (per la salute)…”
2 “Imporre alle donne una
sessualità: attraverso lo stupro, compreso quello coniugale, le percosse,
l’incesto, l’educazione impartita alle
donne a considerare che la spinta sessuale maschile equivale ad un diritto;
idealizzazione dell’amore eterosessuale (romantico e idilliaco) nell’arte,
nella letteratura, nei media, nella pubblicità; matrimoni con bambine,
matrimoni combinati … immagini pornografiche di donne che provano piacere dalla
violenza sessuale e dall’umiliazione”
3 “comandare o sfruttare il
lavoro delle donne al fine di controllarne i prodotti: attraverso l’istituzione
del matrimonio e della maternità come produzione non retribuita; relegamento ai
livelli più bassi del mondo del lavoro retribuito; la lusinga ingannevole della
donna-simbolo che ha fatto carriera; il controllo maschile sull’aborto, la
contraccezione e il parto; la sterilizzazione forzata; lo sfruttamento della
prostituzione (compreso il traffico e la tratta); l’uccisione delle bambine che
priva le madri delle figlie e contribuisce alla svalutazione generalizzata
delle donne”
4 “avere il controllo della prole
e deprivare le donne di essa: attraverso il diritto paterno; il rapimento dei
figli; l’infanticidio; la sottrazione giuridica dei figli; la
strumentalizzazione della madre come torturatrice simbolica nelle mutilazione
genitale, o nel fasciare i piedi (o la mente) della figlia per adeguarla al
matrimonio”
5 “tenere le donne confinate
fisicamente (e separate le une dalle altre) e impedirne la libera circolazione:
attraverso lo stupro come mezzo terroristico (o lo spauracchio dello stupro se
una donna si muove da sola) per impedirne la libera circolazione per le strade;
il purdah; la fasciatura dei piedi; l’atrofizzazione delle capacità atletiche
delle donne; codici di abbigliamento al femminile (obbligati in certi
ambienti); il velo (obbligato culturalmente); le molestie sessuali; la norma
prescrittiva di essere madri a tempo pieno; la dipendenza economica forzata
delle mogli”
6 “usare le donne come mezzo di
transazione maschile: l’uso delle donne come doni; il prezzo della sposa; lo
sfruttamento della prostituzione; l’impiego delle donne come intrattenitrici
per facilitare gli affari (uso delle donne come escort) o come padrone di casa
accoglienti, geishe, segretarie compiacenti”
7 “tarpare la creatività delle
donne (e delle bambine come dice Martha Nussbaum): la caccia alle streghe
contro le donne indipendenti, le guaritrici, la maggiore valorizzazione in
tutte le culture delle elaborazioni maschili, cosicché i valori culturali si
identificano con la soggettività maschile; matrimonio e maternità quali uniche
possibilità di autorealizzazione femminile; sfruttamento sessuale delle donne
da parte di artisti e insegnanti; smembramento
sociale ed economico delle aspirazioni creative collettive delle donne;
cancellazione delle tradizioni femminili
(e delle genealogie femminili e dei femminismi)”
8 “ impedire l’accesso ad ampie
aree del sapere sociale e delle acquisizioni culturali: attraverso la non
scolarizzazione delle bambine; il grande
silenzio storico sulla cultura delle donne e sull’esistenza lesbica; gli stereotipi
dei ruoli sessuali che tengono lontane le donne dalla scienza, dalla tecnologia
e gli altri studi “maschili”; legami socio-professionali maschili che escludono
le donne; discriminazione professionale delle donne”.