Da Adista “Donne vescovo: dopo lo stop del sinodo anglicano, il consiglio degli Arcivescovi ci riprova”

DONNE VESCOVO: DOPO LO STOP DEL SINODO ANGLICANO, IL CONSIGLIO DEGLI ARCIVESCOVI CI RIPROVA

36954. LONDRA-ADISTA. È stata una doccia fredda sulla Chiesa d’Inghilterra il voto del Sinodo generale sulla consacrazione delle donne vescovo, conclusosi il 20 novembre scorso con un “no” di misura. Nonostante, infatti, le camere dei vescovi e del clero abbiano raggiunto la necessaria maggioranza dei due terzi (44 sì e 3 no per i vescovi, 148 sì e 45 no per il clero) , ciò non è accaduto con la camera dei laici, dove i sì sono stati il doppio dei no ma non i due terzi necessari (132 sì e 74 no). Il dato è tanto più rilevante dal momento che, tra i laici, la metà dei contrari era costituita da donne. Sarebbe bastato il loro assenso per capovolgere il risultato della votazione.
Il fatto è che le donne contrarie alla consacrazione episcopale femminile sono per lo più aderenti alla parte più conservatrice della Chiesa anglicana, quella che fa riferimento al movimento Reform o all’associazione anglocattolica Forward in FaithSusie Leafe, di Reform, ha insistito sul fatto che la posizione contraria delle donne laiche non costituiva una sorpresa: «Non è una questione di sessismo – ha detto – ma di convinzioni teologiche, trasversali ai generi».
La delusione per il risultato è stata cocente ma l’intenzione è di non darsi per vinti. In una memoria interna, intitolata «Donne nell’episcopato – Dove si va ora?», il segretario generale del Sinodo William Fittall ha esortato la Chiesa a intervenire con sollecitudine per capovolgere il responso del voto: «Se la Chiesa d’Inghilterra non dimostrerà rapidamente di essere capace di districarsi, ci troveremo in una grave crisi costituzionale nelle relazioni tra Chiesa e Stato, il cui esito non può essere previsto con sicurezza». Il Parlamento, che deve ratificare la decisione del Sinodo, potrebbe infatti impugnare un esito che contraddice il netto favore all’episcopato femminile espresso dalle diocesi inglesi (42 su 44). «Quel che è certo è che ora è necessaria una nuova, urgente e radicale riflessione, se si vuole garantire cambiamenti nella posizione»; e lo si deve fare prima che intervenga il Parlamento, che è «impaziente». Fittall individua dunque una strategia perché norme più semplici possano garantire l’ordinazione episcopale femminile, nel caso specifico prevedendo «la revoca dell’attuale divieto, lasciando però a coloro che si oppongono a questo sviluppo la possibilità di farlo per scelta e per linea politica, e non per legge». Questa strategia dovrebbe prendere forma in un piano da sottoporre al Sinodo il prossimo luglio, in modo da poterlo poi presentare in Parlamento al massimo entro il 2015.
Questa politica ha trovato consenso presso il Consiglio degli arcivescovi, organismo che riunisce 19 membri (tra cui l’arcivescovo di Canterbury e di York e i presidenti della Camera del clero e dei laici) e che funge da Consiglio permanente del Sinodo generale. In una riunione del 27-28 novembre, gli arcivescovi hanno espresso «la profonda tristezza e lo choc vissuti in conseguenza del voto». «Nelle sue discussioni – si legge in un comunicato – il Consiglio ha deciso che il processo per ammettere le donne all’episcopato va fatto ripartire in occasione del prossimo incontro del Sinodo generale nel luglio 2013. C’è stato consenso sul fatto che la Chiesa d’Inghilterra deve risolvere la questione urgentemente. Il Consiglio pertanto ha raccomandato che la Camera dei vescovi, durante il prossimo incontro, tra due settimane, avvii, con il nuovo anno, un processo trasparente di discussioni, al fine di portare proposte legislative prima del Sinodo di luglio».
Come si possa arrivare ad un voto positivo raggiungendo finalmente la maggioranza dei due terzi in ognuna delle tre camere del Sinodo che si è appena espresso in direzione contraria non è chiaro. La legislazione votata il 20 novembre, infatti, era frutto di 12 anni di dibattito e, nel luglio scorso, aveva rischiato di affondare dopo che i vescovi avevano aggiunto un emendamento a favore degli oppositori della consacrazione episcopale femminile, che faceva pendere la bilancia eccessivamente dalla parte di questi ultimi (v. Adista Notizie n. 28/12). Il 9 luglio scorso, infatti, la decisione finale era stata nuovamente rinviata alla Camera dei vescovi, con la richiesta di riprendere in considerazione l’emendamento n. 5 apportato qualche mese prima, riguardante le parrocchie che rifiutano di sottostare all’autorità episcopale di una donna. Il 21 maggio i vescovi anglicani del Regno Unito, riuniti a York, avevano dato la loro approvazione a due emendamenti alla legislazione già approvata lo scorso anno con 42 voti positivi delle diocesi su 44. Tali emendamenti, infatti, erano stati giudicati non sostanziali rispetto al testo originario (approvato per la prima volta nel 2008). Il primo di essi riguardava la delega di alcune funzioni, da parte del vescovo, a un altro vescovo, pur mantenendo il primo piena autorità su tutte le sue parrocchie; il secondo, la condotta a cui i vescovi devono attenersi quando una parrocchia richieda formalmente di non essere guidata da una donna vescovo.
Christina Rees, membro del Consiglio e tra le più impegnate a favore delle donne vescovo, ha detto che molti, ora, dopo il voto negativo, ritengono che la Chiesa debba porsi l’obiettivo di una forma di legislazione più semplice. «Anche  se nel Consiglio non vi è stata unanimità – ha spiegato – c’è un gruppo cospicuo che intende andare avanti con una legislazione più lineare», con ciò intendendo, evidentemente, la volontà di sfumare il complesso codice pratico a favore di un’alternativa per gli oppositori, destinato ad accompagnare – e a bilanciare – l’accesso delle donne all’episcopato.
 Comprensibilmente, gli strali della pesante sconfitta sono stati lanciati contro i laici – e le laiche – che hanno votato contro la misura. Otto di essi hanno inviato al quotidiano The Times una lettera di “difesa”, in cui ribattono alle accuse mosse loro. «La furia incomprensibile e la frustrazione che hanno accolto il fallimento del provvedimento e la ricostruzione unilaterale della questione – vi si legge – spingono quanti di noi hanno votato per un senso di preoccupazione per le minoranze all’interno della Chiesa d’Inghilterra e per le promesse fatte a quelle minoranze, a spiegare perché abbiamo agito in questo modo». «Il voto contrario alla consacrazione episcopale – scrivono gli otto – è derivato dal fatto che il provvedimento non contempla quell’inclusività che noi riteniamo fondamentale per il futuro dell’anglicanesimo. La Chiesa d’Inghilterra ha bisogno di tutte le voci che oggi la compongono, e di ascoltarle tutte. Unità non ha mai voluto dire unanimità». (ludovica eugenio)
da: Adista Notizie n. 44 del 08/12/2012