Chi siamo noi per giudicare?

di Frank Brennan

Le letture della XX domenica del tempo ordinario offrono spunti di grande suggestione. Nella prima lettura si parla del profeta Geremia che ebbe la sfortuna di vivere e profetizzare in un’epoca in cui Gerusalemme era invasa dagli stranieri (Ger 38,4-6; 8-10). Geremia consigliò al popolo e al loro re di arrendersi. Il pensiero comune fu che egli fosse un traditore che cercava di minare il morale delle truppe. Il fatto è che, semplicemente, aveva ragione lui. Lo calarono in un pozzo per farlo morire. Poi arrivarono alcuni uomini e lo salvarono. Nel Vangelo di Luca, Gesù è diretto a Gerusalemme. «Pensate – chiede – che io sia qui per portare pace sulla terra?». No, per niente. Promette anzi fuoco e divisione, e non solo in relazione ai nemici, ma anche all’interno delle famiglie e della comunità ecclesiale (Lc 12,49-53).

Riflettendo a caldo su queste letture, ho avuto l’impressione che non potessero trovare applicazione nell’oggi. Poi, però, ci ho ripensato. Durante la settimana, era prevista la mia partecipazione al programma televisivo della SBS Insight , a cui ero stato invitato per parlare del matrimonio omosessuale. L’invito era stato rivolto a diversi vescovi, ma nessuno aveva dato la sua disponibilità. Il matrimonio omosessuale è una questione giuridica, politica e sociale difficile e complessa in un Paese come l’Australia, specialmente in tempi di campagna elettorale, quando i nostri leader politici assumono posizioni opposte. Quindi non intendo affrontare ora questo tema. Ritengo, tuttavia, che sia giunto il tempo di dire qualcosa dal pulpito riguardo all’atteggiamento e al linguaggio della Chiesa cattolica riguardo alle persone omosessuali.

Gran parte della dottrina della Chiesa istituzionale degli ultimi 40 anni su questo tema è opera di Joseph Ratzinger, prima che diventasse papa. Già nel 1976 la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva pubblicato un documento che distingueva l’orientamento omosessuale dagli atti omosessuali, descritti come privati della loro finalità essenziale e indispensabile e «intrinsecamente disordinati».

Poi nel 1986 la Congregazione, dal 1981 sotto la guida del card. Ratzinger, pubblicò un nuovo documento nel quale si affermava che erano state date «delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si era spinto a definirla indifferente o addirittura buona. Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé un peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata».Sono in molti, e tra di essi numerosi cattolici e omosessuali, a considerare queste parole inopportune e irritanti, contestandone la veridicità. Grazie a Dio, da papa, Benedetto XVI non è quasi mai tornato a impiegare questo linguaggio. Molti leader ecclesiali, però, ritengono ancora che esso costituisca l’unico modo cattolico di parlare dell’omosessualità.Qualche mese fa l’arcivescovo Mark Coleridge, probabilmente il vescovo con la maggiore preparazione teologica in Australia, è intervenuto nel programma televisivo della Abc Q&A distinguendo tra orientamento e stile di vita omosessuale: «Lo stile di vita viene scelto, l’orientamento sessuale no». Quest’ultimo, ha detto, può essere considerato un’“anomalia nella creazione” ed è impossibile vederlo semplicemente come parte del progetto divino.Ad Insight, Penny Wang, politica dotata di grande oratoria ed equilibrio, dichiaratamente lesbica (condivide con la sua partner l’esperienza della crescita di un figlio), ha detto, rispondendo a mons. John Woods: «Mi sembra interessante che lei parli di rispetto e contemporaneamente discuta se l’omosessualità sia naturale o il risultato di una forma di disordine. Tutto ciò non mi sembra segno di grande rispetto».Gran parte delle due ore di discussione non è stata mandata in onda. Ma ad un certo punto io ho dichiarato che parlare di omosessualità come di un disordine non era di nessun aiuto. E, rivolgendomi a Penny Wang, ho detto di ritenere che la sua omosessualità fosse tanto naturale, complessa e mistica quanto la mia eterosessualità.Nei giorni successivi, ho ricevuto numerose mail che rispecchiavano i diversi orientamenti, tra cui quelle di alcuni esponenti di un rigido conservatorismo cattolico che mettevano in discussione la mia visione morale, chiedendosi perché io stessi semplicemente seguendo la tendenza sociale maggioritaria anziché restare fedele all’insegnamento della Chiesa. Pensavano, ovviamente, che io peccassi di infedeltà a me stesso e alla Chiesa. C’era ben più di un giudizio morale negativo in tutto ciò.

Giorni dopo, come spesso capita a noi preti, qualcuno è venuto a trovarmi per parlare con me. Era un cattolico adulto, un uomo buono, autenticamente cattolico. Mi ha detto di essere gay. Aveva dovuto fare coming out con alcuni suoi amici, ma ovviamente non era stato facile. Mi sono tornate in mente le parole scambiate con i giornalisti da papa Francesco qualche settimana fa, sul volo di ritorno dalla Gmg. A una domanda sull’omosessualità, il papa aveva risposto: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Penso che papa Francesco ci fornisca un modo migliore di avviare una discussione rispettosa nella nostra Chiesa e nella comunità, riguardo ai complessi temi relativi all’omosessualità, come quello del riconoscimento civile del matrimonio omosessuale.

Il nostro punto di partenza teologico dovrebbe essere questo: siamo tutti creati a immagine e somiglianza di Dio, gay o eterosessuali; il fuoco purificatore e la divisione evocata da Gesù coinvolgono noi tutti, in preparazione al banchetto in cui non ci saranno gay o etero, e ognuno pregherà dicendo: «Signore, non sono degno di accoglierti sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e la mia anima sarà salvata».È ormai tempo di abbandonare il linguaggio inutile e giudicante del disordine intrinseco e oggettivo, cercando di promuovere, con un senso di profondo rispetto, leggi e politiche per tutte le persone che intendano sostenersi e nutrirsi a vicenda e fare lo stesso con i propri figli.