Editoriale: “Luce in ogni cosa” [ Dicembre 2013 ]

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di Cristina Simonelli

L’avvento è un tempo liturgico particolare, che nei paesi occidentali si trova nel cuore dell’inverno sempre inclemente per i poveri, stretto tra luminose affermazioni e tetri sgomberi. Ma è particolare anche per quell’ossimoro dell’attesa di chi è già “nato per noi”, della memoria del futuro, infine della speranza. Luce in ogni cosa è infatti citazione di un canto (Symbolum ’80, Sequeri) e richiamarlo significa evocare l’intero passaggio: «Io so quanto amore chiede questa lunga attesa del tuo giorno, Dio; luce in ogni cosa io non vedo ancora: ma la tua parola mi rischiarerà». L’attesa non è vuota, ma certo la luce non è piena. Questo orizzonte è quello principale, quello con cui reciprocamente ci auguriamo un Natale buono e un’attesa inesausta.

Mi sembra tuttavia opportuno, se non forse necessario, estendere l’affermazione di luce  – che splende ma chiede anche migliore chiarezza – a una breve glossa all’esortazione post-sinodale Evangelii gaudium. Molti ben più attenti commentatori hanno già sottolineato l’aria nuova che si respira in un documento che, pur attraverso un percorso lunghissimo di 288 paragrafi, lascia trapelare un annuncio di gioia, una chiesa come casa dalle porte aperte, uomini e donne come compagni di viaggio, una fedeltà al Vangelo che rende non accessorio il «posto privilegiato dei poveri» e la presa di distanza dai meccanismi che li stritolano. Ma – e lo scrivo con dispiacere  e disagio proprio per l’adesione sincera che tutto il resto suscita – c’è una sorta di “corto circuito” nei nn. 103-104 che sotto la rubrica «altre sfide ecclesiali» (cioè con laici, giovani e vocazioni) affrontano il tema dell’apporto delle donne.  In questo specifico contesto ci sono affermazioni inconsuete e significative – infine  nuove – ma mescolate ad altre ben diverse, con stile singolare.

Sono nuove infatti alcune sfumature che rendono il discorso importante: quando parla di «sensibilità e capacità peculiari» aggiunge un «solitamente più proprie delle donne che degli uomini», avvicinandosi così all’espressione femminista ormai diffusa che per fuggire l’essenzialismo recita più donne che uomini. Nello stesso modo toccando il tema della maternità ne mette in luce l’importanza in forma non esclusiva, con finezza: «speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità». Di grande rilievo e, sembra, anche frutto dell’ascolto di molte istanze avanzate, le frasi successive:

«Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti per la riflessione teologica [corsivi ed enfasi nostre]. ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa»

Poi, tuttavia, dopo l’auspicio di una maggior presenza di donne nei luoghi in cui si prendono decisioni, la limpidezza delle frasi si perturba, anche dal punto di vista della progressione logica. Il paragrafo 104 è infatti come una lunga parentesi, che si attesta alla fine del paragrafo nuovamente sull’invito a considerare la presenza femminile nei luoghi delle decisioni, cioè esattamente da dove il discorso si era fermato nell’ultima frase del n.103. In questa lunga e faticosa parentesi c’è un po’ di tutto: intanto il n.104 inizia da «rivendicazione», cosa che non sarebbe di per sé strana accanto a “diritti” se non occupasse nell’immaginario cattolico un posto malfamato, suggerendo di fatto l’idea di pretese arroganti. Poi ritorna la menzione del «genio femminile» e l’idea che «Maria è più importante dei vescovi», il tutto volto a confermare l’esclusione dell’ordinazione (sacerdotale.. si dice.. significa, sembra, presbiterale.. E diaconale..?) delle donne. Queste affermazioni non sono nuove neanche per papa Francesco, che le ha più volte fatte e anche confermate. Ma non stanno tutte nello stesso ordine di considerazioni: evidentemente una Chiesa, come di fatto fa, decide “chi” ordinare. Ma Maria non c’entra in questa questione! Il suo ruolo è del tutto unico, ci sono molte altre donne fra i primi discepoli, non c’è bisogno di evocare la Madre di Dio: se si volesse restare al Nuovo Testamento ci sono molte altre “Maria”, e  Marta e Febe e molte altre, le cui figure sono considerate forse sublimi, ma non “in successione”.

Ancora più imbarazzante è leggere la tipologia “Cristo Sposo” rappresentato da “uomini/sposi” quando  – iam ab antiquo si potrebbe dire – il Signore è riconosciuto presente nella persona del ministro, ma anche nell’assemblea, nella parola, e soprattutto (maxime) sotto le specie eucaristiche (cfr. SC 7). Si parla infatti di Presenza “vere, realiter, substantialiter” (cfr. Paolo VI, Mysterium fidei 3.9.1965, che riprende Trento, XIII sessione, can.1  DS 1651) proprio nel pane eucaristico che non ha … “somiglianza fisica” col Signore .

Non si capisce poi proprio l’affermazione: «può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere [ …] esteso come dominio». Certo che questo sarebbe una rovina! Ma è monito che vale sempre e per tutti, in primo luogo per quegli uomini, che attualmente a tale potestà sono ordinati. Forse sarebbe stato meno complicato tralasciare semplicemente questo tipo di considerazioni e rimanere su un tranquillo “no”. Personalmente non ho mai provato molto interesse per questo dibattito, ma sono veramente colpita dal perturbamento che può creare, indice, mi sembra, della necessità di meglio riflettere sulla cosa.

Tuttavia la sezione in questione si conclude con l’osservazione che «le sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza!» (n. 109). In questo spirito, rispondendo anche alle domande “che ne pensate” e alle molte sollecitazioni ricevute, mi è sembrato onesto rispondere con franchezza. Come già dicevo riaprendo le attività dell’associazione a settembre, e ripeto ora nonostante questa lunga risposta alla breve parentesi, è opportuno recuperare proporzioni e priorità.  E la prima fra queste certo è collocata non nelle provvisorie questioni fin qui discusse, ma nell’attesa del giorno primo e ultimo, pace senza vespero. In questa comune attesa vediamo una luce grande, in moltiplicata gioia (cfr. Is 9,1-2).