«Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, re dell’universo…». Nulla di strano se a recitare questa preghiera sul pane e sul vino non fosse, anziché un prete cattolico nella Messa, una suora altrettanto cattolica nella cena di apertura dello Shabbàt. Ed è la stessa che, poco prima, mi ha accompagnato, insieme ad alcuni amici, nella sinagoga che frequenta.
Due passi nel tramonto del venerdì sera, in cui si apre quel giorno che il Signore ha consacrato al riposo. Dai mezzi pubblici ai negozi, tutte le attività si fermano, e un piacevole silenzio fa capolino tra gli edifici con gli abitanti dei cieli, in ebraico è un duale, a ricamare le loro tiepide melodie primaverili. I Tehillìm, i Salmi, sono condotti dal cantore, poi lo Shemà Israèl e la benedizione per i nati del mese. Una rabbina invece guida la preghiera, con il tradizionale tallìt ed una particolare kippah bianca che un’amica ha decorato con i vivaci frutti della terra; intesse una predicazione di cui ci sfuggono molti vocaboli, ma non lo stile, delicato e solenne, che solo una donna può incarnare.
«L’ho conosciuta dieci anni fa» ci racconta sister Gemma Del Duca, nata in Pennsylvania, ma in Israele da quarant’anni, la cui eleganza non priva di cordialità, insieme al nome, tradiscono le origini italiane dei genitori. Siamo a tavola dopo aver condiviso il pane spezzato e l’unico calice benedetti.
Tutto è iniziato negli anni ’70 in cima ad una collina, Tel Gamaliel, sede della comunità per il dialogo diretta dal padre benedettino Isaac Jacob, per il quale la Regola di San Benedetto era diventata «un ponte verso Israele», fulcro della convivenza, nella comune sottomissione alla Parola di Dio.
Sorella della Carità, nel suo paese ha fondato e diretto il Centro Cattolico Nazionale per l’Educazione all’Olocausto, il cui obiettivo primo è l’impegno contro l’antisemitismo e la promozione delle relazioni cattolico-ebraiche.
Da qui nascono gli intensi programmi di collaborazione con importanti istituzioni israeliane, come l’Università Ebraica e lo Yad Vashem: «Un memoriale e un nome». Il riferimento è a Isaia 56,5 – dove il Signore parla: «Concederò nella mia casa e dentro le mie mura un memoriale e un nome … darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato». Le mura sono quelle della casa del Signore, sono quelle di Israele, ma probabilmente anche quelle della Chiesa, in cui, se molto è stato fatto, in particolare ai vertici, occorre fare ancora di più per una memoria e presa di coscienza veramente collettive delle questioni legate all’antisemitismo e alla Shoah. E suor Gemma è una donna di Chiesa, forse non molto nota alla Chiesa, certamente la prima non israeliana, cui è stato conferito nel 2007 l’“Award for Excellence in Holocaust Education” da parte dello stesso Museo dell’Olocausto.
Ma oggi vorrei ricordare anche un’altra persona che ho conosciuto in questi mesi: Margaret Karram. Membro della Commissione Episcopale per il Dialogo Interreligioso,
l’immagine che ne viene è: una donna tra le mitre episcopali! Ha gli occhi vivaci e il sorriso intenso. È nata ad Haifa, tra gli ebrei, in una famiglia cristiana di origini palestinesi. Ha studiato la storia di Israele e il Corano nella scuola delle suore con cristiani e musulmani. «Il primo passo è avvenuto nel condividere le feste con una famiglia ebrea». Parlare di “esperta” di dialogo sarebbe dunque riduttivo perché da sempre, da quando è nata, è immersa in questa complessa trama di culture, religioni e tradizioni. Poi ha incontrato il movimento focolare, di cui fa parte.
Negli Stati Uniti si è laureata in studi ebraici, in una realtà accademica dove studenti e docenti sono ebrei. Quando, vinta la diffidenza legata all’accento, i compagni l’hanno invitata in sinagoga, ha accettato rivelando al contempo la sua fede cristiana.
Promuove incontri informali tra ebrei, cristiani e musulmani. «Alcune famiglie ebree hanno preparato doni per i bambini orfani di Betlemme, in maggioranza musulmani!». Anche a lei è stato assegnato un premio: il Mount Zion 2013, assieme all’ebrea Yisca Harani.
Al di là dei riconoscimenti, suor Gemma, Margaret e molte altre di diverse appartenenze, testimoniano l’esistenza di un lavoro costante di dialogo e comprensione reciproca che passa attraverso le relazioni e le amicizie di ogni giorno. Mi piace immaginarle come il cuore pulsante di questa terra così martoriata e difficile, di cui spesso si parla soltanto in termini di scontri e conflitti, pure sotto gli occhi di tutti. Sono donne di dialogo, donne di Chiesa.
Lena Residori
Gerusalemme, 8 marzo 2014