di Cristina Simonelli
Una pia e antica tradizione, storia di storie, vuole che una donna asciughi il volto insanguinato di Gesù nella sua salita al Calvario e suggerisce che sia la stessa che era stata guarita dal sanguinamento che la rendeva impura oltre che infelice, la cosiddetta emorroissa. Il suo nome sarebbe stato Berenice, poi trasformato in latino in Veronica: come molte vicende narrate a margine della Scrittura e da testi tardivi che chiamiamo apocrifi, ha avuto un enorme successo, entrando, lei, nella Via Crucis e nelle rappresentazioni iconografiche, e il suo velo col Volto nel novero delle reliquie. Un sito di informazione storica contro ogni mistificazione apocrifa intitola la documentata pagina: Veronica, ovvero la donna inesistente [http//www.antoniolombatti.it/b/blog]. Il titolo è troppo interessante per essere lasciato alle indagini di settore. Come minimo lo utilizziamo per farci gli auguri di Pasqua, perché pensiamo di esistere anche se molte volte la nostra esistenza non è sufficientemente documentata, o risulta comunque velata, attraverso riflessioni sull’umano che per essere universali non nominano parzialità e singolarità, di fatto occultandole.
Per questo riteniamo di accogliere l’invito a entrare nel dibattito sull’umanesimo che la Chiesa Italiana ha rivolto oltre che a Consigli presbiterali e pastorali, anche a Facoltà teologiche, Istituti di Scienze religiose, Consulte dell’apostolato dei Laici, Associazioni e Movimenti: formalmente non abbiamo ricevuto una convocazione come CTI, ma siccome i miti insegnano che chi si sente non invitato poi crea problemi (così la dea Eris e il suo pomo della discordia), pensiamo sia meglio considerarsi a pieno titolo parte dei destinatari e dunque inviare presto un nostro contributo. Il cui tema di fondo è: rispetto al documento che chiama a convegno e chiede opinioni [Convegno ecclesiale 2015, l’Invito/Documenti/ www.avvenire.it] si potrebbe utilizzare il titolo da cui siamo partite, «le donne sono inesistenti».
Vogliamo invece che siano nominate, non solo per giustizia verbale e ossessione grammaticale, ma per urgenza: urgenza di pace, urgenza di altra economia, urgenza del tema antropologico e della sfida ecclesiale. Quest’ultima è forte – come sottolinea anche Evangelii Gaudium 103-104 – ma è sottovalutata o peggio ancora affrontata in termini inadeguati:
- vuoi passando dal piano storico a quello evanescente della femminilità – parlando di donna, quasi essenza di eterno femminino, o di principi mariani di livello diverso da quello istituzionale e regolamentato;
- vuoi entrando con toni esagitati e censori a ritagliare nella prospettiva di genere la sua forma più scorporeizzata, con l’intento dichiarato di difendere la differenza, ma con il risultato di costruire un’eresia (un nuovo Sillabo?) e avviare una crociata – operazione che ci priva, a priori, di parole e di categorie analitiche e critiche per affrontare nella sua complessità proprio l’umano (anzi l’humanum… come spesso si scrive per parlare all’uomo contemporaneo)
A questo proposito riportiamo, come già fatto in una recente nostra newsletter, uno stralcio del documento inviato della Società delle Storiche Italiane alla Ministra Stefania Giannini: «Non esiste, infatti, una “teoria del gender”. Con questa categoria, usata in modo fecondo in tutta una serie di discipline che ormai costituiscono l’ambito dei gender studies, non si introduce tanto una teoria, una visione dell’essere uomo e dell’essere donna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione: senza comportare una determinata, particolare definizione della differenza tra i sessi, la categoria consente di capire come non ci sia stato e non ci sia un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di esperienze, varie nel tempo e nello spazio».
Altra osservazione, altrettanto scontata e immagino già fatta da molti, è che c’è un certo varco tra il tono di presa di distanza da modernità e post-modernità che traspare nel Documento di Invito e l’affabilità che fa bruciare il cuore di Evangelii Gaudium. Non per negare i problemi e dunque la necessità di un impianto critico, ma per non far prevalere i toni lamentosi e di condanna a quelli che possono testimoniare una profonda speranza: che come tale è davanti a noi, non possesso ma promessa, ma non per questo è cosa evanescente. Siamo infatti profondamente convinte, appunto, che «il profilo ultimo [di questa promessa] è costituito dal Risorto, nostra incrollabile speranza, che già si va realizzando – qui e ora – per ciascuno [e per ciascuna]» (Invito al Convegno, cit).
In questo senso e in questo orizzonte accogliamo l’invito in vista del Convegno di Firenze; e nello stesso modo pensiamo rivolto a noi e a tutti, quasi in forma ad esso responsoriale, il salmo 94 (cfr Eb 3), chiamato anche Invitatorio: «Se ascoltaste la sua voce […] non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto».
Presentarsi «davanti al suo Volto» con la memoria tatuata di tanti volti è pertanto l’augurio che ci rivolgiamo scambievolmente, tutte e tutti. Lo facciamo con le parole di Angelo Casati, che riportiamo in calce: perché sono molto belle e intense. E anche perché vogliamo così ripetere che non si tratta di creare una divisione tra donne che “vedono” e uomini che “non vedono” (mistica essenzialista!), ma del modo di guardare e ascoltare, che l’Evangelo può guarire. Nei versi che seguono, apocrifa è piuttosto la storia che trasforma il pane in pietre, eliminando dall’immagine di Dio chi non ha un posto nella intestazione dei suoi documenti.
cristina simonelli
«Era il tuo lino, Veronica,
o erano le mani
che sentì tenere accarezzare
il suo volto?
Mani di donna
impura ai puri
a pulire sangue e sudore
ad asciugare
l’insulto degli uomini.
Tu donna
fatta a immagine di Dio
che asciuga le lacrime
sui volti.
Il tuo lino per grazia
fu casa abitata
reliquia d’emozione:
impigliato era un volto.
Arde il suo volto
dentro ogni tenerezza
degli umani (Angelo Casati)»[1]