Drammatico e intenso reportage da Erbil, nel Kurdistan. L’autrice, trevigiana, è appena tornata da un viaggio tra i profughi cristiani e yazidi, costretti alla fuga dall’avanzata dell’Isis
L’aereo scende nella luce sospesa tra notte e giorno sopra l’enorme grappolo di luci di Erbil, capitale curda, che in poco più di 6 anni si è trasformata, come una cellula impazzita, da villaggio a metropoli. Dopo l’attraversamento della piana che circonda l’aeroporto (si arriva in una struttura modernissima e poi si viaggia in pullman in mezzo al nulla per 20 minuti prima di guadagnare l’uscita vera) ecco Wisam, l’amico monaco dell’ex monastero di Gesù Redentore di Qaraqosh.
L’abbraccio con me, don Giorgio Scatto della comunità di Marango, suor Gemma, monaca della comunità trentina di Pian del Levro, e Giorgio, mio marito, è lunghissimo, intenso. Si abbraccia un amico che dopo il 6 agosto 2014, con l’avanzata dell’Isis da Mosul per tutta la piana di Ninive, si pensava perduto. Teso, dimagrito, con un berrettino con il frontino sempre in testa, sorridente quanto mai, urla abbracciandoci “Benvenuti, benvenuti… Dio vi benedica”. Due milioni di profughi accalcati