Clericalismo: ignoranza e abuso di sostanza sul Congresso mondiale delle famiglie a Verona

di Cristina Simonelli
Presidente del Coordinamento teologhe italiane


L’Incontro mondiale delle famiglie svoltosi a Dublino nell’agosto 2018, in quella terra cattolica d’Irlanda così devastata dagli abusi del clero, ha registrato l’intervento attento e pensato di papa Francesco proprio contro gli abusi, quella Lettera al Popolo di Dio che, non assumendo un tono apologetico né moralistico, ne indica la causa strutturale, teologica – infine – sostanziale nel clericalismo:  «Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che “non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente”. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo».

Questo, nonostante si potesse pensare a quella occasione come un modo per rilanciare piuttosto anatemi e fantasmi apocalittici, come quelli esternati dal Segretario di Stato cardinale Parolin, che di fronte al risultato del referendum del 2015 sul matrimonio fra persone dello stesso sesso si era espresso nei termini gravissimi di “sconfitta dell’umanità” –le stesse parole che si usano per la shoà, la devastazione dell’ambiente, il rifiuto dei profughi, gli armamenti nucleari; le stesse parole che pensiamo la Chiesa debba usare di fronte agli abusi, al femminicidio, alla discriminazione delle donne, anche se questo lo abbiamo sentito dire di meno, per la verità.

Adesso lo stesso Segretario di Stato di fronte al Congresso Mondiale delle famiglie a Verona – ben altra cosa da Dublino, organizzazione di matrice violenta e piena di odio, come sa chiunque minimamente se ne informi – esce però con un’affermazione che dovrebbe meglio spiegare: «ne approviamo la sostanza, non il metodo».

Cosa vorrebbe dire con questo? Sarebbe una presa di distanza, questa? Nel linguaggio comune e ancora di più in quello ecclesiastico “sostanza” è una parola impegnativa, pesantissima.

E’ proprio la sostanza di quella operazione che deve essere rifiutata, con il suo tentativo di accaparrarsi, ancora una volta come nei passati totalitarismi è avvenuto con drammatico successo, la connivenza delle Chiese e delle istituzioni religiose. Che poi si pentono, ma tardi. Che hanno eroi e martiri, ma anche ne fanno.

L’ha detto con superficialità, ignorando magari il peso di sostanza: pensava forse con queste due parolette di levarsi d’impiccio? O lo ha detto invece con cognizione di causa, dando dunque un avallo a quell’impresa finora isolata, senza comunicati ufficiali cattolici, greve di odio, mentre un mondo pacifico di donne e uomini, laici e credenti, manifestava fuori un mondo diverso? Un avallo, se tale vuole essere, clericale inaudito.

Basta, per fare il pezzo completo, che papa Francesco, che contemporaneamente si trova in Marocco a tessere rapporti di dialogo e ad accogliere ben altro grido dell’umanità migrante e dolente, dica di non aggiungere niente su Verona a quanto ha detto il Segretario di Stato. Nel senso di “no comment” al Congresso dell’odio? O nel senso della espressione usata da Parolin, sulla adesione in sostanza? Le parole pesano, come macigni, anche se poi la mano che ha tirato il sasso se ne pente. Forse.