Ogni domenica delle Palme la Chiesa si trasforma in una specie di teatro, dove la lettura del vangelo risuona eccezionalmente attraverso voci diverse. Nella celebrazione a cui ho partecipato, sull’altare c’erano tre uomini (ma non è il sesso qui a contare): il prete nel ruolo di Gesù e due lettori che si dividevano il resto della narrazione. I personaggi in scena avrebbero dovuto essere di più, ma si sa che anche la liturgia richiede un po’ di economia. Tuttavia, un certo pathos aleggiava nell’aria e l’atmosfera finiva per accendere l’immaginazione verso l’invisibile. E poiché l’immaginazione non conosce misura, in quel tessuto così fitto di parole piano piano si materializzavano anche i corpi assenti che il racconto aveva evocato.
Sull’altare si apriva un posto imprevisto per quella donna senza nome e senza voce, che nel racconto di Marco unge Gesù con un’esagerata quantità di nardo. Il gesto è apparentemente scandaloso, eppure viene collegato al destino del vangelo stesso: «In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9).
Diversamente da ciò che viene detto, di lei ci si dimentica facilmente ed è proprio per guarire la nostra infedeltà che Elizabeth Schüssler Fiorenza le dedica un libro molto corposo, divenuto un classico della teologia femminista: In memoria di lei[1]. Qui l’autrice fa notare che nel racconto della passione di Marco tre discepoli hanno un rilievo particolare: Giuda che tradisce Gesù, Pietro che lo rinnega, e questa donna capace di trasformare un costoso profumo in una profezia. Nella storia credente si sono fissati solo i primi due, mentre la sconosciuta – comparsa come interruzione tra il progetto di morte dei sommi sacerdoti e degli scribi e il tradimento di Giuda, fa qualcosa di straordinario: apre uno spazio simbolico imprevisto e sospende il tempo che inesorabilmente corre verso la croce. Ci riesce perché lei non sta aspettando l’occasione per fare il male e crede nella gratuità.
Nell’immaginazione questa donna era lì sull’altare, presente come un personaggio muto e invisibile, ma essenziale alla vicenda. Inoltre non era sola. Assieme a lei, infatti, sembrava prendere corpo anche qualcun altro: il ragazzo che fuggì via nudo, perché aveva lasciato a terra il lenzuolo dopo che le guardie lo avevano afferrato (Mc 14,51-52).
C’è chi dice che questo strano e marginale personaggio sia la raffigurazione dell’evangelista stesso che in qualche modo si dipinge dentro la scena, chi lo intende come simbolo legato a un’anticipazione della risurrezione del Cristo o alla profezia di Amos (Am 2,16), e chi crede che lì ci fosse davvero un giovane che poi avrebbe avuto qualcosa da raccontare. Al di là della questione esegetica – che non saprei risolvere –, in quella narrazione liturgica lui c’era, muto ma radicalmente espressivo. Con la sua presenza silenziosa, chiedeva a noi chi gli avesse tolto il mantello di dosso e da dove venisse quella violenza che lasciava la sua giovane vita nella fragilità e nella vulnerabilità più totali. La sua voce inudibile si univa a tutte quelle delle bambine e dei bambini che in questo periodo hanno conosciuto l’orrore della guerra e tutto il male che questa porta con sé, ma si univa anche a quelle di tutte le giovani vite spogliate dei sogni di un mondo ospitale, pulito, giusto.
Buona Pasqua, come invito a riannodare il vangelo alle vite invisibili, per una Chiesa piegata sul versante muto del mondo. Buona Pasqua a chi conosce il senso della perdita e non si spaventa, a chi chiede giustamente ragione della propria nudità e del proprio destino ingiusto, a chi esiste senza che nessuno se ne accorga, a chi tiene insieme la sapienza della perdita e il compito di restituire al mondo ciò che manca…
Lucia Vantini
[1] Elizabeth Schüssler Fiorenza, In memoria di lei. Una ricostruzione femminista delle origini cristiana, Claudiana, Torino 2022.
[2] Cfr. su questo Rita Bichi – Paola Bignardi (a cura), Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità, Vita & Pensiero, Milano 2024.