Oggi, rispetto al passato, è proprio in forza della propria
identità particolare che si vuole entrare nello spazio pubblico, e si ha il
maggior titolo a farlo. A questo medesimo titolo anche la religione tende ad
acquistare un diritto allo spazio pubblico che prima le era negato: ma
beninteso come rappresentante di una “minoranza”, di una “differenza”. E ad
essa – o meglio: alla pluralità delle religioni – la politica tende ad
attribuire il ruolo di rappresentanza di istanza etiche che essa in quanto tale
non riesce più a rappresentare. Nell’era post-moderna, insomma, la religione
tende ad acquisire una legittimità nuova perla stessa ragione per la quale
nella situazione “moderna” le veniva negata: perché ha mantenuto un carattere
“privato”. Il che mi sembra avere sulla
religione stessa una conseguenza di enorme portata. Essa, infatti, è spinta
inevitabilmente a caricarsi del ruolo di supplenza etica che il comando
pubblico le suggerisce – ma in un certo
senso anche le impone – e quindi tende a non mettere più al primo posto la
trascendenza, a non assoggettare più il visibile all’invisibile. E quindi a
perdere il suo carattere di roccaforte dell’ eteronomia. La teologia cede il passo all’etica. La religione tende sempre
più a divenire un insieme di massime di buona condotta, di orientamenti
sostanzialmente profani( pagare le tasse, essere contro la mafia, amare la
legalità). In questo modo la religione, anche il cattolicesimo, è spinto ad
accedere all’idea che alla coscienza religiosa non resti altro che trovare
quella forma compromissoria che gli consenta di adattarsi a un mondo uscito dalla religione.
e. galli della loggia,
"Moderno e postmoderno: il travagliato rapporto del cristianesimo con la
libertà", in Teologia, rivista teologica dell’italia settentrionale,
4 2010, 561.
Questo scivolamento etico è avvenuto grazie solo ad agenti
sociali esterni, o si è è stata anche la Chiesa ad attuarlo dall’interno?
Simona
Baccani