“Rispettare l’altro in quanto altro, dargli ospitalità e vita non solo nel proprio paese o nella propria casa ma in se stessa, esige una capacità di trascendersi di cui Maria dà prova. Non è più soltanto l’assoluta -intesa con un senso in qualche modo quantitativo- trascendenza di Dio che interviene nella venuta al mondo di questo bambino divino, è pure il lavoro fisico e psicologico che richiede la gestazione di essere differente da sé. Accettare l’irriducibile differenza fra se stessa e colui che concepisce non si limita, per una donna, a un’opera semplicemente naturale. Necessita anche di un’apertura a una trascendenza rispetto a sé, una trascendenza che non è più quella di un Dio condivisibile fra la madre e il bambino, ma quella dell’irrinunciabile alterità del bambino stesso. Il gesto etico di Maria in quanto donna non consiste soltanto nel rispettare la vita dell’altro, consiste anche nel dare la vita a un altro che è naturalmente e spiritualmente differente da sé. Con un simile gesto, se è volontariamente e liberamente assunto – come è il caso per Maria secondo la Bibbia-, la donna ha già superato l’identità naturale a cui la nostra cultura troppo spesso l’ha ridotta, compresi molti teologi cristiani. Manifesta un’attitudine a rispettare la trascendenza dell’altro, di cui pochi uomini sono effettivamente capaci.”
L. Irigaray, Il mistero di Maria, Milano, Paoline editore, 2010, pag 34-35
La trascendenza di se stessi passa inevitabilmente attraverso l’altro?
Alessandra Guercio