Incontro del CTI Triveneto del 24 settembre 2011


Incontro del CTI Triveneto del 24 settembre 2011

Ci sono eventi che non attraversano la storia solo nell’istante
in cui capitano, ma si rinnovano ogni qualvolta sono ricordati e ripensati da
qualcuno. È così per il Concilio Vaticano II, argomento dell’incontro del
Coordinamento delle Teologhe del Triveneto, che si è tenuto il 24 settembre a
Verona, nella casa delle Piccole Suore della Sacra Famiglia. Avendo alle spalle il
seminario dell’anno scorso, e proiettandoci verso il Convegno internazionale
dell’anno prossimo (4-6 ottobre 2012), ci siamo ritrovate attorno a un tavolo, tra libri, fogli e qualche
dolcetto di benvenuto. Non abbiamo voluto semplicemente richiamare le novità
teoriche e pratiche legate a questa tappa fondamentale della storia della
Chiesa, bensì riflettere su come tali novità siano ricadute su noi donne, su
quelle che già allora erano abbastanza grandi per desiderare di accostarsi
seriamente a quel mondo teologico che si era fatto più vicino, e su quelle nate
dopo, che hanno trovato aperta la porta dei luoghi accademici ecclesiastici e
hanno deciso di varcare la soglia.

Chi ha visto il Concilio iniziare, prendere forma e
concludersi ha vissuto un’esperienza di straordinaria euforia. Poi il tempo è
passato. Sono arrivate le prove e le resistenze. Si è fatta sentire la fatica
di mantenere viva un’energia di pensiero e di dialogo che sempre di più
rivelava la sua fragilità, come accade a ogni progetto di senso che si ponga in
ascolto della complessità del mondo senza volerla comprimere o controllare. Il
riverbero di quelle trasformazioni, allora, arriva alle donne di oggi come una
voce più flebile e poco sincronizzata con un’attualità preoccupata e bisognosa
di sicurezze. Come riguardo a certi ingranaggi, ci siamo trovate a parlare di errori di trasmissione e abbiamo cercato
di interrogare i motivi di questo progressivo svuotamento dei discorsi
conciliari: perché non arrivano più, oggi? Che cosa impedisce lo sviluppo di
tali guadagni teologici?

È emerso un quadro contraddittorio e complesso, dove l’eco
di quell’euforia iniziale respirata negli anni conciliari si trova ora a far
parte di un canto dalla tonalità minore: i momenti di entusiasmo s’intrecciano
con quelli di sconforto.

Il problema è stato ben approfondito da Lena Residori, una
“matricola della teologia” – così si è autodefinita – che ha ereditato la
svolta teologica del Concilio come un passato storico a cui sa di dover molto, dato
che è “fresca di baccellierato”. Nel suo percorso, però, si è anche resa conto
che quel passato, così promettente per lei, costituiva una difficoltà per alcuni
suoi coetanei a cui, ironia della sorte, sta a cuore proprio il futuro della
Chiesa. Confrontandosi con altri giovani, ha constatato che in questo tempo
disorientato molti si arroccano in piccoli angoli della mente e si accontentano
di una stabilità guadagnata troppo in fretta e dunque immaginaria. A
semplificare troppo la realtà, la si fa diventare illusione. Tuttavia, come
Lena ha mostrato ricostruendo il percorso conciliare attraverso il testo Il sogno del Concilio di Cettina
Militello, avere alle spalle una generazione di teologhe significa trovare
forze per continuare a essere “casse di risonanza” del Concilio, nella consapevolezza
di non essere le prime e di non dover inventare ancora una volta tutto daccapo.

Infatti, non bisogna dimenticare che sono state molte le donne
che sono riuscite ad abitare questa complessità, rimanendo nella Chiesa osando
inserirvi un percorso nuovo. Ivana Ceresa, teologa mantovana morta due anni fa,
è stata una di queste, come ci testimonia l’Ordine della Sororità che ha
fondato nel 1996. Ce ne ha parlato nel pomeriggio Luisella Lugoboni, che ha da
poco concluso una tesi su di lei. Alcune sue frasi ci hanno colpite davvero,
perché sono risuonate come il frutto di una ricerca feconda: Ceresa voleva
parlare di Dio «in quanto donna e non benché donna». Quand’era giovane, avrebbe voluto studiare teologia,
ma a quel tempo le facoltà teologiche erano precluse alle donne. Così, si è
incamminata in un diverso percorso, fatto di letteratura e di psicologia. Dentro
di sé, tuttavia, non aveva rinunciato ai suoi interessi teologici, che poté
finalmente approfondire grazie alle riforme conciliari.

Con la Chiesa, il rapporto è stato complicato, ma anche molto
profondo, dato che ha voluto a tutti i costi che il suo vescovo riconoscesse
come ecclesiale il suo progetto, cosa
che effettivamente avvenne. È andata avanti per la sua strada, anche quando un
sacerdote le aveva polemicamente ricordato come nei Proverbi una donna
silenziosa risulti un dono del Signore. Fino alla fine, rimarrà convinta
dell’insegnamento di sua nonna: «ci sono
cose che una donna ignorante non può chiedere su Dio a un prete, ma a un’altra
donna che ha studiato come un prete, sì».

Sicuramente, diceva, la Chiesa non
è pronta per sentire il discorso di una “donna che ha studiato come un prete”. Questo
è il tempo della gestazione, non della nascita. Tuttavia, quando prevale lo
scoraggiamento e il senso di vulnerabilità di fronte alla forza e
all’aggressività di quelli che tendono all’immobilismo, si deve ricordare che
la storia, alla fine, salva i nomi e i passi di coloro che si sono lasciati
muovere dal soffio dello Spirito.

I momenti in cui quelle come noi,
con la passione della teologia, si incontrano, si confrontano e si scambiano
esperienze, hanno una forte carica politica: facendo circolare pensiero in
luoghi non accademici, dove l’ospitalità diventa un indice importante, si
trovano le forze per resistere alle difficoltà, nella speranza che una parola
vera trascurata oggi non vada del tutto perduta e possa diventare un tema per
il mondo di domani. Così i nostri incontri, che ormai sono una buona
“consuetudine” (per usare un termine uscito nel confronto, quando si voleva
sottolineare che la legge non è mai tutto), racchiudono in sé una formidabile potenza
simbolica. Per dirla con le parole di Ivana Ceresa, ogni cammino è fatto di un
passo dietro l’altro, per cui occorre rispettare la gradualità con cui una
realtà nasce e si compie, ma «ci sono piccoli passi che spostano la nostra
direzione».

Lucia
Vantini