RESTARE APERTI ALLA PRESENZA DELLO SPIRITO di Consuelo Vélez

RESTARE APERTI ALLA PRESENZA DELLO SPIRITO
di Consuelo Vélez

(…) Uno sguardo globale ci permette di “fare memoria” – compito essenziale per non perdere l’identità né la strada che abbiamo di fronte – dei tanti elementi positivi legati alla celebrazione del Concilio.

Iniziamo segnalando una realtà fondamentale: il Vaticano II ha prodotto un “nuovo paradigma ecclesiale e teologico”. E, come ogni nuovo paradigma, ha portato con sé la necessità di movimento, di cambiamento, di una nuova collocazione. (…).

Il Vaticano II ha cambiato lo sguardo ecclesiale. Si è passati da una Chiesa preoccupata di definire se stessa e di affermare il proprio essere e la propria essenza a una Chiesa capace di guardare al mondo e di interrogarsi sulle sue sfide. Una Chiesa capace di apprezzare l’attività umana (Gs, cap. 3), di rispettarne l’autonomia e di misurarne i successi. Una Chiesa capace di dare nome alle realtà del mondo e di comprendere come solo partendo da queste possa realizzare il suo compito di evangelizzazione. (…).
La centralità della storia, considerata come luogo di rivelazione divina (…), ha cambiato l’orizzonte epistemologico della teologia e della pastorale. Non era possibile continuare ad appellarsi solamente all’autorità come garante della verità. Era necessario accettare con decisione e coraggio una visione incarnata della rivelazione che avesse bisogno di mediazioni per dare significato alle realtà divine. Per questo, una teologia storica e una pastorale che partono dal “vedere” la realtà hanno costituito la conseguenza logica di tale cambiamento epistemologico.
La considerazione della Chiesa come “mistero” (Lg,1) e di tutto il Popolo di Dio come primo depositario (Lg, cap. 2) di questo mistero ha permesso di sognare un modello di Chiesa-comunione con diversi ministeri e carismi, esercitati tutti a servizio della comunità. Ne sono risultati cambiamenti e rinnovamenti nella vita ecclesiale. La presa di coscienza del protagonismo e della missione evangelizzatrice del laicato non si è fatta attendere. (…).
La vita religiosa ha subìto una rapida trasformazione. È sorto un desiderio sincero di “tornare alle origini” e si è cercato di recuperare la freschezza, la semplicità e l’impegno a fianco dei più poveri, prendendo ad esempio la Chiesa di Gesù, costituita dagli esclusi della società, perseguitata e pericolosamente critica nei confronti dell’ebraismo dell’epoca. (…).
La giusta autonomia delle realtà umane (…) ha aperto la strada ad una fecondazione reciproca che continua a rappresentare ancora oggi una sfida. Non poteva essere altrimenti, di fronte alla proclamazione dell’autonomia della coscienza rettamente formata, del rispetto per le sue libere decisioni e dell’urgente necessità di garantire i diritti umani in modo da salvaguardare la dignità di ogni persona (Gs, 41). O di fronte al riconoscimento dell’imprescindibilità dell’apporto delle scienze per la soluzione dei problemi umani, dal momento che anch’esse contribuiscono alla costruzione dei valori sublimi «della verità, della bontà, della bellezza e dei giudizi di valore universale» (Gs, 57). In questo senso, si è legittimata l’autonomia della cultura e delle scienze e dei loro metodi (Gs, 59). E, nel campo intraecclesiale, il Concilio ha riconosciuto l’autonomia dei metodi teologici, la necessità di arricchire la teologia con l’apporto delle scienze umane e sociali, la giusta libertà di indagine (…). Quanto all’impegno politico, il Vaticano II ha affermato la legittima diversità e pluralità delle opzioni politiche promuovendone l’accettazione e la tolleranza nella ricerca del bene comune (Gs, 75). (…).
È stata però la centralità dei poveri indicata dal Vaticano II (…) quella che ha dato impulso in maniera decisiva al cammino della Chiesa latinoamericana e caraibica espresso nelle Conferenze episcopali celebrate nel Continente, specialmente Medellín e Puebla (…).
E molti altri aspetti positivi potrebbero essere enumerati per celebrare il passaggio dello Spirito nella vita della Chiesa, perché il Vaticano II è stato una nuova Pentecoste, per quanto alcuni pretendano di ignorarlo o di ridimensionarne l’importanza (…).
SFIDE URGENTI
La costante tentazione nella vita personale ed ecclesiale è quella di pretendere di arrivare alle realizzazioni definitive. (…). Sorge la stessa tentazione degli apostoli nell’esperienza della trasfigurazione del Signore: «è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende» (Lc 9,33). Ma la vita continua e il dinamismo umano è inarrestabile. (…). Per questo conviene domandarsi come celebrare nel modo migliore questi 50 anni dal Vaticano II. E la risposta più adeguata deve essere: continuare a camminare. Il che significa: continuare ad essere aperti alla presenza dello Spirito – lo stesso che ha accompagnato il cammino ecclesiale nel corso della storia e si è manifestato chiaramente in momenti privilegiati come il Vaticano II – per rispondere alle sfide del presente. Perché la storia non si è fermata ai cambiamenti vissuti in questi 50 anni. Le sfide continuano a sorgere, nuove e sorprendenti, strane e imprevedibili, ma urgenti e bisognose di risposte adeguate a partire dall’esperienza di fede.
In effetti, oggi sono evidenti realtà che 50 anni fa appena si intravedevano o che non eravamo capaci di riconoscere. La questione della donna tra riflessione femminista e uso della categoria di “genere”, il riconoscimento ben più effettivo della multiculturalità e della multietnicità espresse dai popoli indigeni e afroamericani nella maggior parte dei Paesi, la preoccupazione ecologica, la crisi delle grandi narrazioni, il ritorno al soggetto, il valore del particolare e del quotidiano, il dialogo interreligioso, tra altre situazioni che potremmo riportare, sono i segni dei tempi che oggi è urgente interpretare e a cui dover rispondere per non perdere quest’aria nuova sorta dal Vaticano II.
Il compito non si annuncia facile. Venti di involuzione si alzano da ogni parte. E prendono forza fino a farci credere di esserci sbagliati. Non c’è da meravigliarci del fatto che la tentazione bussi continuamente alla nostra porta facendoci apprezzare forse eccessivamente quelle esperienze che raccolgono consenso, portano seguaci e ricevono il sostegno della maggioranza. (…).
Nello spirito di ciò che è piccolo ma non per questo meno audace, fragile ma non per questo meno valido, complesso ma non per questo meno efficace, possiamo segnalare alcuni cammini attraverso cui si potrebbe continuare a plasmare lo spirito del Vaticano II:
– Il cammino di una conversione permanente. A nulla varrebbe far memoria delle luci del Vaticano II se nel presente della nostra storia non si riconoscesse l’urgenza di mantenere un atteggiamento di costante conversione. Se il Vaticano II è stato capace di guardare al mondo per rispondere a «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» (Gs 1), oggi rimane necessario guardarlo per comprendere l’attuale situazione. Chi guarda è capace di aprirsi alla conversione. Ma occorre guardando senza paura e senza la sicurezza di chi crede di aver già la soluzione per tutto. È un dono dello Spirito guardare con occhi disposti a lasciarsi toccare, interpellare, convertire. Questo atteggiamento farebbe assai bene alla Chiesa di oggi.
– Il cammino degli esclusi del Continente. La situazione di povertà strutturale che colpisce il Continente e che si sta estendendo al cosiddetto “primo mondo” deve essere un campo che la Chiesa attuale non può abbandonare se vuole rimanere fedele all’utopia del Regno. Di fronte al sistema economico imperante che determina l’esclusione di migliaia di fratelli, bisogna liberarsi definitivamente dai lacci derivanti dalla mancanza di profetismo e accompagnare altri cammini che assicurino la vita dei più poveri. Il Regno non è un sistema economico, ma non può essere estraneo a tutto ciò che promuova la liberazione integrale dei popoli.
– Il cammino dell’uguaglianza fondamentale all’interno di una diversità funzionale. In società abituate alla stratificazione sociale, alla subordinazione degli uni agli altri per motivi di genere, di razza, di censo o di cultura, l’obiettivo deve essere quello di identificarsi maggiormente con una Chiesa-comunione in cui sia assicurata la dignità di tutti e la differenza sia vissuta solamente come collaborazione effettiva in vista del bene comune: «Ma voi non fatevi chiamare “rabbi”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Una Chiesa come sacramento della comunione (…) è una risposta efficace all’urgenza di un mondo inclusivo “in cui ci sia posto per tutti e tutte”. In particolare, la partecipazione piena delle donne nella comunità ecclesiale esige una risposta rapida e contundente, se non si vuole tradire il “discepolato di eguali” vissuto alle origini del cristianesimo.
– Il cammino di un laicato formato, impegnato e consapevole del discepolato missionario che è chiamato a vivere. In molti ambienti si sta parlando di questo secolo come del secolo del laicato, a cui va riconosciuta la responsabilità storica di cambiare definitivamente il volto della Chiesa piramidale che ha segnato l’esperienza cristiana, sostituendolo con il volto di una Chiesa-comunione a immagine della Trinità. (…).
– Il cammino del dialogo ecumenico e interreligioso. Il Vaticano II ha riconosciuto l’urgenza del dialogo ecumenico perché non è possibile che la sequela cristiana mostri un abisso tanto profondo tra quanti dovrebbero essere fratelli e compagni di strada. (…). Si registrano grandi passi avanti a livello di prassi e di collaborazione in aspetti che toccano il bene comune. Ma manca il dialogo profondo in questioni di fede (…).
– Il cammino del dialogo interculturale e il riconoscimento delle diverse tradizioni culturali. (…). La ricchezza culturale oggi maggiormente valorizzata e il recupero delle diverse identità e tradizioni esigono una Chiesa dai volti diversi, con liturgie che incorporino i linguaggi di tutti i popoli. (…).
– Il cammino della cosiddetta “postmodernità”. Può risultare ambiguo chiedere alla Chiesa di percorrere i sentieri della postmodernità nel momento in cui essa ha relativizzato le grandi narrazioni e avviato ricerche spirituali che poco hanno a che fare con l’esperienza ecclesiale vigente. Tuttavia, aspetti come il recupero della soggettività, l’armonia con il cosmo, la valorizzazione del quotidiano, del corpo, dei sentimenti, della sessualità, la ricerca di spiritualità e di crescita interiore rappresentano delle strade che l’esperienza ecclesiale può e deve percorrere se vuole essere riconosciuta dagli uomini e dalle donne di oggi. Non c’è più posto per una religione che non sia accompagnata da un’antropologia in grado di valorizzare l’intero essere umano tenendo conto delle sue diverse dimensioni e accogliendole positivamente senza giudicarle a priori, ma ritenendole necessarie al fine di costituire l’esperienza religiosa in modo molto più integrale e integrante.
– Il cammino dello sviluppo scientifico e dell’interdisciplinarietà. In questo aspetto la Chiesa deve muovere grandi passi avanti per essere capace di collocarsi in un mondo plurale e rinunciare definitivamente a quell’usurpazione del potere civile di cui ha goduto in tanti contesti. Lo spirito evangelico richiede che si accetti di vivere in un paradigma pluralista in cui è indispensabile perseguire i fondamenti etici minimi che permettano di garantire la vita di tutti e tutte in ogni determinata società. (…).
– Il cammino del vangelo di Gesù. (…). Ci riferiamo qui alla necessità di recuperare la freschezza del Vangelo, l’audacia del mandato missionario, lo spirito profetico dei primi seguaci e la capacità di impregnare le strutture umane del Regno di Dio. Non con la forza del potere e dell’imposizione, che nulla ha a che vedere con il Vangelo di Gesù Cristo, ma al modo del seme che cresce inosservato (Mc 4,27) o del lievito che fermenta tutta la farina (Mt 13,33).

A MO’ DI CONCLUSIONE

(…) Personalmente ritengo che sia sempre possibile chiarire meglio delle affermazioni o scoprire aspetti di cui in altri momenti non si era tenuto conto, ma mi sembra meglio pensare che le conquiste di un dato momento debbano essere arricchite con visioni nuove e che l’importante sia proseguire il cammino. Ed è questa l’esigenza di una celebrazione: guardare al passato ma per prendere più slancio verso il futuro. E le luci del Vaticano II, malgrado possibili ambiguità e malgrado alcune di esse non siano state neanche lontanamente messe in pratica, possono darci forza per continuare a rispondere alle sfide attuali. Proprio guardando al Gesù dei vangeli e consapevoli del discepolato missionario a cui siamo chiamati, è ora di promuovere una Chiesa veramente profetica, che critichi non solo le strutture del mondo ma anche se stessa. È l’unico modo di mantenere la vitalità, l’attualità e l’efficacia di una Chiesa che non esiste per se stessa ma per rendere presente il Regno di Dio nella realtà storica.

La comunità ecclesiale che sorge dall’esperienza del Dio di Gesù esige di «versare il vino nuovo in otri nuove» (Lc 5,38). Ciò non comporta una rottura. Quello a cui mi riferisco è la capacità di collocarci in questo cambiamento d’epoca e di percorrere strade mai intraprese prima. (…).