“Estamos em um período de encastelamento”. Traduzione dell’intervista a M. Benedetta Zorzi e Armando Matteo

Riportiamo la traduzione dell’intervista di Graziela Wolfart a M. Benedetta Zorzi e d. Armando Matteo apparsa sulla Revista do Istituto Humanitas Unisinos, disponibile a questo indirizzo:

– In che senso le lacune lasciate dal Vaticano II contribuiscono alla vicenda della cosiddetta “fuga delle quarantenni” della fede?

È stato detto dai liturgisti che la Riforma liturgica è stata una riforma necessaria ma non sufficiente, perché la riforma dei riti non ha portato alla riforma della struttura stessa della Chiesa, di cui la liturgia è espressione. È tempo infatti di passare a una riforma “dai” riti, a partire cioè da quanto la loro riforma ha messo in maggior evidenza: si pensi in particolare alla centralità della parola nella vita dei credenti, al senso della partecipazione di tutti i fedeli all’eucarestia, all’assunzione più consapevole della categoria di popolo di Dio in attesa del Regno. Lo stesso possiamo riscontrare in altri ambiti ecclesiali, compresa la vita religiosa. Abbiamo provato a fare dei cambiamenti che sono restati su un primo livello o forse sono restati all’interno dell’orizzonte intravisto da coloro che hanno fatto la riforma nel post-concilio. Non si è avuto però un vero e proprio cambiamento di paradigma mentale. Da un paio di decenni ci si è come fermati, accomodati; forse non si è avuto il coraggio di continuare a lavorare lungo quelle intuizioni e andare fino in fondo. Certamente non c’è stato ancora un passaggio di testimone alle nuove generazioni le quali oramai prospettano mentalità e orizzonti assai diversi da quelli di chi ha fatto il post-concilio.

– Come comprendere la distanza tra gli auspici del Vaticano II, con le sue aperture al mondo e al contributo creativo delle donne, e una cultura di potere ancora “maschilista” nella Chiesa di oggi?

Il post-concilio ha dovuto pagare dei prezzi che sono stati considerati troppo alti. Si è certo rischiato di buttare insieme all’acqua sporca anche il bambino (è un detto italiano). Ad un certo punto, quindi, si è sentita la necessità di fermarsi, forse a riflettere; ma molti oggi più che riflettere insieme, sembrano disperatamente occupati a tentare di tornare al “come se niente fosse”. In realtà il mondo non si ferma e la Chiesa, così facendo, rischia di perdere l’appuntamento con questa generazione e le successive. Né può essere taciuto il fatto che la più grande e sconvolgente rivoluzione culturale del Novecento – quella del Sessantotto – accadde a Concilio chiuso. Rispetto alle istanze che lì vennero alla luce (libertà, singolarità, principio di autenticità e di autodeterminazione, sensibilità profondamente democratica, corporeità, sessualità, ecc.), il cristianesimo diffuso fatica non poco a rendere ragione della bellezza di essere credenti e vive oggi una stagione assai faticosa, che trova esattamente nel rapporto sempre più difficile con le (giovani) donne la sua cifra più eloquente.

– Quali sono le difficoltà nel tentativo di costruire una Chiesa “a due voci”, con uomini e donne che partecipano allo stesso modo?

Da una parte c’è certamente una mentalità per cui il laicato, e quindi ovviamente le donne – due volte laiche – non sono chiamate a partecipare a pieno titolo alla gestione della vita ecclesiale; dall’altra le donne stesse non fanno abbastanza per cambiare questa mentalità e spesso avendo introiettato valori femminili androcentrici, risultano le più strenue difensore di un sistema che le penalizza.
Un altro elemento è l’ignoranza dei preti, soprattutto i più giovani, a livello storico e teologico; vi si aggiunge il disorientamento identitario del giovane maschio occidentale. A fronte di una riflessione secolare della donna sulla sua identità, i suoi ruoli e il cambiamento della sua autopercezione non c’è stata un’altrettanta riflessione dell’uomo su se stesso, sul suo ruolo, su chi deve essere rispetto a questa donna che è cambiata. Se come ci dice il Magistero l’antropologia cattolica è duale, allora se cambia un polo deve cambiare necessariamente anche l’altro.
Abbiamo sempre più giovani maschi incapaci di tenere testa ad un rapporto con le giovani adulte di oggi, capaci, affermate socialmente, libere, autodeterminantesi, personalmente, fisicamente e progettualmente…con tutte le conseguenze che questo comporta.  La chiesa cattolica sembra ancora l’unico baluardo in cui un giovane occidentale possa continuare a non mettere in discussione la sua identità maschile. Se si pensa a cosa dovrebbe fare il prete nella chiesa Cattolica, al modo in cui tale ruolo oggi viene presentato, non c’è da stupirsi se un tale ruolo attrae persone con difficoltà identitarie. Né dobbiamo stupirci se il risultato di questo connubio emerga con conseguenze spesso spiacevoli.

– Perché nonostante i numerosi testi ecclesiastici del Concilio Vaticano II circa l’importanza delle donne esiste ancora nella Chiesa una forte tensione tra le affermazioni di principio e la pratica di
affidare a le donne funzioni di responsabilità?

Perché non si è riflettuto abbastanza sul ruolo del prete, sulle modalità di gestione del potere, delle parrocchie, perché non si promuove esplicitamente e con forza la  formazione teologica delle donne, perché si collega ancora troppo strettamente la leadership all’ordinazione ministeriale. Le aperture della Chiesa alle donne di 50 anni fa ci sembrano solo timide oggi, ma erano appropriate per le donne e il mondo di 50 anni fa. Oggi, dopo un Magistero che ha parlato di genio femminile, sì, ma tutto sommato da una prospettiva  marcata anche geo-culturalmente, bisognerebbe fare un ulteriore passo per comprendere a fondo le istanze del mondo delle donne che sta cambiando rapidamente.

– Cosa contraddistingue il rapporto delle donne con la fede e con la Chiesa oggi, in confronto con il contesto sociale e religioso di 50 anni fa, quando si tenne il Concilio Vaticano II?

Sono intervenuti  cambiamenti davvero epocali sia nell’autopercezione delle donne e del loro ruolo nella società, di fronte agli uomini e di fronte ai loro desideri, sia del contesto culturale.
Basti qui l’accenno a un dato molto semplice: vi è un numero sempre crescente di giovani donne con alto tasso di scolarizzazione (in Italia sicuramente più alto di quello dei loro coetanei maschi) e quindi con relative attese, in ordine alla loro formazione credente e all’esercizio della fede, maggiori rispetto al passato. Per dirla con una battuta, non possiamo più permetterci certe omelie e liturgie improvvisate.
– Il gesto del Concilio Vaticano II di opzione della Chiesa per il camino di dialogo con la società contemporanea continua ancora oggi?

Siamo in un periodo di arroccamento. Speriamo si tratti di una fase normale da leggere con i tempi di una storia molto più grande di noi. Tutti i Concili di grande svolta, come quello di Nicea, hanno comportato lunghissimi anni prima di essere davvero “digeriti”. Vale lo stesso per il Vaticano II. Oggi si crede che la proposta di un’identità forte, quasi da contrapporre al mondo e alla cultura, sia la scelta vincente. Lasciamo giudicare la storia.

– 50 anni dopo la apertura del Concilio Vaticano II cosa non è stato ben risolto fino oggi? Quali sono le difficoltà di comprensione che le diversi ermeneutiche aperti dal Concilio nel cammino della Chiesa?

Basta studiare la storia per constatare che la chiesa si è sempre calata in un contesto culturale con cui ha saputo dialogare. La capacità di negoziare i concetti e linguaggi, mentalità e istanze nel dialogo con la cultura è stata la sua forza e ha determinato al sua sopravvivenza ai mutamenti epocali. Perfino il Logos è stato un concetto che si è mediato dalla cultura pagana. Papa Benedetto XVI ha sottolineato che la fedeltà alla Tradizione non si attua nei contenuti dottrinali in quanto tali, ma nel cammino dell’unico soggetto che è la chiesa attraverso la storia.

– Cosa pensare del processo di revisione dottrinale pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), dal titolo “Valutazione dottrinale della Leadership Conference of Women Religious” negli Stati Uniti? Cose potrebbero essere parte di una riforma all’interno della Leadership Conference?

Seguiamo con molta apprensione la questione, perché  in Europa dovremo in qualche modo sentire un contraccolpo rispetto a ciò che accadrà in USA, ma avremo meno capacità di reazione, almeno in Italia. L’Europa ha maggiore coscienza dei mutamenti storici di lunga portata e quindi più pazienza, ma anche più lentezza. Non ci sentiamo tuttavia di dare un giudizio, perché sfuggono i dettagli di questo lungo processo, che non è iniziato oggi e che da come ci è stato presentato dai media, ultimamente sembra essere stato strumentalizzato a scopi prettamente politici. Certo è che, da ciò che si legge anche solo in teologia, il femminismo nella Chiesa cattolica non è ancora stato recepito e compreso, anzi a volte sembra essere colpevolmente frainteso dalle gerarchie. Forse non tutte le suore americane hanno problemi dottrinali,  e non tutte sono femministe radicali; d’altra parte è chiaro che  gli uomini di curia non sono facili a destreggiarsi tra le varie teologie femministe. Ma certamente la Chiesa cattolica si trova ad avere oggi seri problemi pastorali che le religiose hanno ben individuato.
È proprio delle suore – come testimonia la loro gloriosa storia sin dall’Ottocento – il carisma di capire e affrontare le situazione di maggiori disagio e sofferenza presenti nelle vicende umane. C’è uno stare accanto che viene prima di ogni giudizio e che non per questo vuol dire immediatamente condivisione di sentimento di vita con le persone che soffrono.
Ma senza questa compassione, senza questa presenza, ogni verità, ogni principio lascia il tempo che trova. Nella presenza delle suore, inoltre, si gioca una partita importante per il futuro della Chiesa: quella della possibilità di offrire un riscontro veramente femminile sul volto pubblico della comunità ecclesiale.
Attendiamo, con ansia, gli esiti di questa questione che siamo certi avere una portata molto più grande di quello che sembra: non è un semplice  richiamo all’ordine dottrinale. Forse è più facile anche pensare che qui due poli si fronteggino: da una parte preti di curia occupati a scrivere le loro carte dagli uffici di Roma, spesso non molto versati in storia (delle donne) e non molto sensibili ai mutamenti culturali odierni, e dall’altra un esercito di donne consapevoli di sé, dei cambiamenti verso cui va il mondo e soprattutto formate a quella libertà di coscienza evangelica (e post-conciliare) che le rende così determinate. Confidiamo che le cose siano più articolate rispetto a queste facili polarizzazioni, perché ci sono già oggi uomini e donne, preti e religiose, nella Chiesa cattolica, che si trovano in sintonia e hanno  il desiderio di percorrere la strada insieme per una chiesa a due voci.

M. Benedetta Zorzi, OSB e Don Armano Matteo