Pubblicato in l’Unità il 13 febbraio 2013
Benedetto XVI, divenuto Papa dopo avere dedicato la sua esistenza al pensare la fede come teologo e come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha sviluppato il suo ministero prima di tutto intorno alla forza della parola.
La parola come supporto di un magistero deciso e autorevole volto a definire la dottrina della verità in un contesto socio-culturale, soprattutto quello europeo, dai celeri mutamenti e dai contorni sempre più fluidi, in una tarda modernità che vede nel divenire continuo e nella logica del «possibile altro» la cifra più profonda della sua identità e natura.
Se il suo predecessore aveva affidato al gesto e ad atti simbolici di immediato impatto, alla visibilità del corpo e non solo alle parole, il suo messaggio al mondo, Joseph Ratzinger divenuto Papa ha mantenuto la parola (dei testi scritti e della predicazione) come medium principe per il suo comunicare. A conclusione del suo pontificato egli pone una parola solenne «con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro» che – con forza performativa – potrebbe generare inediti scenari per la vita della Chiesa cattolica. La storia consegna altri casi di rinunce da parte di pontefici, ma il senso e il contesto più profondo di questo passaggio vanno rintracciati nella visione ecclesiologica del concilio Vaticano II, che definisce indubbiamente un contesto altro rispetto a quanto avvenuto per Celestino V o per gli altri papi.
Il modo di pensare l`episcopato, la relazione tra Papa e collegio dei vescovi, l`articolazione tra chiese locali e Chiesa universale (e • • • quindi il ruolo della curia romana) escono dall`evento conciliare e dalle pagine dei documenti del Vaticano II profondamente ripensati. Ma, ancora più la decisione di Benedetto XVI si colloca dentro il profondo cambiamento avvenuto nell`autocoscienza ecclesiale ed ecclesiologica con il Vaticano II: è una Chiesa che si pensa secondo una reale storicità. Il Vaticano II ha richiamato al permanente rinnovamento e alla sempre necessaria riforma perché la Chiesa è un soggetto che evolve, cresce, si trasforma, le cui forme di esistenza, di pensiero, di gestione del potere e dell`autorità, le cui istituzioni, sono tutte segnate dalla figura fugace di questo mondo (cf. Lumen gentium 48).
Davanti a ciò che agli occhi del mondo sembrava in II fondo per larghi tratti inamovibile, segnato da una perennità di forme e di tradizioni rinsaldate dalla loro secolarità (e per questo per tanti largamente incomprensibili, ma certamente rassicuranti in una civiltà del cambiamento e del rischio), la parola di Benedetto XVI ha creato uno spazio di reale interruzione, dislocante e pedagogica, evocativa di una «possibilità altra» rispetto all`usuale, capace perciò di produrre un reale cambiamento. ha detto e «mostrato in atto» che la figura ecclesiale è sempre storicamente in divenire. Sono parole che suggeriscono quindi la possibilità di innovare anche un`istituzione complessa e secolare come la Chiesa cattolica-romana.
È questa la sfida a cui il Papa rimanda, in primis il conclave e i suoi successori, ma anche la Chiesa intera in tutte le sue componenti. E la sua parola-atto rinvia al cuore della necessaria riforma: da un lato alla grande questione delle modalità di governo nella Chiesa, alle forme di esercizio della collegialità episcopale e allo specifico ruolo degli organismi che sono a servizio della Chiesa universale, dall`altro al principio che rigenera la Chiesa, l`annuncio evangelico. Perché non è sufficiente limitarsi a un adeguamento delle strutture e degli istituti già esistenti, ma è necessario guardare ai processi, alle dinamiche, che «fanno Chiesa», e orientare su questi il necessario rinnovamento delle forme ecclesiali. I processi di riforma non sono mai indolori e si imbattono in una naturale resistenza al cambiamento che segna tutte le grandi istituzioni, tanto più quelle ricche di una secolare storia: cedere alla tentazione di ribadire il passato, indulgere a prudenza, o limitarsi a un cauto attendismo vorrebbe dire, in fondo, tradire la vera natura della Chiesa. La scelta di Papa Benedetto XVI insegna, anche in questo, a coniugare lucida coscienza di fragilità e limite ad altrettanto consapevole libertà e speranza.
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La decisione del Papa si colloca dentro il profondo cambiamento provocato dal Vaticano