Codrignani: recensione a Adriana Valerio, Donne e chiesa

RECENSIONE

Adriana Valerio, Donne e Chiesa / Una storia di genere, Carocci editore, 2016

Giancarla Codrignani

Adriana Valerio è ben conosciuta per i tanti libri scritti sulla storia delle donne e sul loro rapporto con la religione e la fede. Questa volta ha condensato in poco più di duecento pagine una storia, che è tale in senso accademico, ma che ha il pregio di essere volutamente accessibile a chi legge per problematizzare le questioni. E’ un’opera che raccomanderei ai responsabili della gerarchia cattolica e dei preti: gli uomini di chiesa possono incontrarvi insieme un’informazione storica rigorosa e il riscontro di proprie responsabilità, sia per una secolarizzazione che trova sempre più donne estranee alla pratica religiosa, sia per la perdita da parte della Chiesa di avere mantenuto – e mantenere – le donne, anche teologhe e mistiche, nella sottomissione. Non è ancora sufficiente sentire che qualcosa è cambiato se, mentre Pio X, pur istituendo l’Unione delle Donne Cattoliche, raccomandava l’azione caritativa “esclusa la politica e l’esigenza dei diritti che sono in opposizione diretta coi doveri imposti alla donna dalla Provvidenza”, Giovanni XXIII riconobbe il diritto alla piena dignità della donna che “sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come uno strumento (ed) esige di essere considerata persona tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica”.

Il libro è, proprio per non perdere pezzi di storia, densissimo e riporta notizie non note, citazioni, nomi sconosciuti anche a teologi e femministe competenti. La fittissima biografia e l’elenco dei nomi aggiunge ulteriori stimoli.

Abbiamo troppo antenate che sono state “madri della chiesa” ma non hanno lasciato una “matristica” perché, anche se non tacevano, le loro parole e scritti non contavano. Bisogna sapere e reintrodurre nella storia le cancellazioni che hanno offeso l’intero “genere” femminile e mutilato la conoscenza. Sapere per esempio che l’imperatrice Teodora non era l’attrice che aveva irretito Giustiniano dei pettegolezzi di Procopio, ma una donna che impedì, riprendendo il controllo dell’esercito, all’imperatore di fuggire e che, in campo religioso, sostenne il monofisismo. Oppure che Brigitta di Svezia si interessò alla liberazione del Papa da Avignone e nello statuto del suo Ordine diede alla badessa la funzione di rappresentare Maria caput et domina, secondo il mai riconosciuto principio mariano che riconosce autorità alle donne; e così Giuliana di Norwich che, riconosciuto in Gesù “la nostra vera madre” negava l’esistenza dell’inferno perché una madre non può tollerare che un figlio si perda. Le donne da sempre entrarono nei problemi della loro fede con autonomia critica e già Gilberto di Tournay (1284) notava con insofferenza il loro interesse per subtilitates et novitates. Non lo si ricorda, ma il Concilio di Trento – le cui conseguenze furono atroci per i monasteri femminili – provocò reazioni conflittuali e molte intellettuali simpatizzarono con la Riforma protestante (a Ferrara attorno a Renata di Francia si ragionava tanto liberamente sul Papato, sulla “presenza reale”, sulla validità dei sacramenti o sull’esistenza del purgatorio che il duca Ercole recluse la moglie per evitarle l’Inquisizione). Non solo gli ecclesiastici, ma nemmeno uomini illuminati come Filangieri o Genovesi gradivano che le donne avessero cultura e autonomia. Nella modernità anche i migliori, come Yves Congar, uno dei grandi del Vaticano II, sapevano entrare nel nuovo corso della storia: quando propose l’introduzione, nel documento sull’apostolato dei laici, di un’allusione alla delicatezza dei fiori e al fulgore del sole in relazione alla partecipazione femminile, lo fermò Rosemary Goldie: “Padre, lasci fuori i fiori. Ciò che le donne vogliono dalla Chiesa è di essere riconosciute come persone pienamente umane”.

Il filo conduttore della storia apre, così, nel capitolo finale, gli Anatemi di ieri e di oggi, che è la questione che preme a Valerio e che coinvolge tutte: se davvero un’altra storia è possibile.