Perroni: intervista croata sul ruolo delle donne

1. Gentile Prof.ssa Perroni il tema sempre attuale è il ruolo e i diritti delle donne nella Chiesa, ma anche nella società. Secondo Lei, quali sono le maggiori sfide per le donne in questo momento nella Chiesa e nella società?

È vero, si tratta di un tema sempre attuale, e proprio questo deve far riflettere. Processi storici di lunga gittata chiedono tempi prolungati, non c’è dubbio. E non possiamo pensare che la trasformazione epocale avviata dal femminismo possa realizzarsi in poche decine di anni. Siamo di fronte a un ribaltamento analogo a quello che, nell’ambito delle scienze fisiche, è stata chiamata “rivoluzione copernicana”. Il femminismo – in realtà sarebbe meglio dire i diversi femminismi – sono espressione di una vera e propria rivoluzione nell’ambito delle scienze umane. Sta cambiando profondamente l’antropologia, la sociologia, la psicologia e, a cascata, tutte le altre scienze su cui si reggono i diversi ambiti della vita umana, la politica, l’economia, la medicina … Dobbiamo accettare che ci voglia un tempo lungo proprio perché non si tratta di andar dietro a una moda passeggera. È pur vero, però che già molto spesso lungo i secoli la voce delle donne si è fatta sentire, ci sono stati tentativi di superare il regime patriarcale. Ma, poi, ha sempre vinto la restaurazione e la normalizzazione. E così la storia delle donne ha avuto un andamento carsico. La sfida allora oggi è proprio quella di non abbassare la guardia, di non permettere che si torni indietro sulla strada dell’acquisizione di parità diritti, dell’equità di genere, del rispetto della soggettualità delle donne con tutto quello che essa comporta.

2. Quali sono i ruoli principali che le donne dovrebbero assumere sia nella Chiesa sia nella società?

Un grande teologo contemporaneo, quando gli ho posto una domanda sul diaconato femminile, mi ha risposto: non esiste un diaconato femminile, il diaconato è uno solo e ci sono uomini e donne che lo esercitano. Ho trovato la stessa impostazione in questi giorni per quanto riguarda i mondiali di calcio delle nazionali femminili: qualcuno ha giustamente ribadito che non esiste il calcio femminile, ma esiste il calcio, che viene giocato da squadre nazionali maschili e femminili. Forse dovremmo rifletterci di più!

3. L’opinione generale è che le donne, ma anche tutti i laici in generale, sono scarsamente rappresentati nelle posizioni guidatorie nella Chiesa. Come coinvolgere più le donne nella vita della Chiesa e quale dovrebbe essere il loro contributo?

Certamente, la problematica riguardo la piena partecipazione delle donne alla vita della Chiesa si iscrive dentro una problematica ancora più ampia, cioè quella del laicato. La distinzione binaria clero-laicato andrebbe ripensata radicalmente e ciò avverrà quando finalmente la Chiesa cattolica avrà la lungimiranza di ripensare in modo sistemico tutta la sua struttura ministeriale. Capisco che una riforma del genere non può essere promossa in modo troppo frontale. Come mostra l’Instrumentum laboris per il prossimo Sinodo sull’Amazzonia le questioni vengono al pettine nella vita della chiese locali e all’interno di essa vanno affrontate. Per quanto riguarda le nostre chiese europee, credo che molte donne contribuiscono alla vita delle comunità ecclesiali in molti modi e in molti ambiti, da quello teologico a quello pastorale. Chi crede che si tratti solo di necessaria supplenza a una carenza di clero divenuta ormai endemica, sbaglia radicalmente. Si tratta di una riforma che, dal Concilio Vaticano II in poi, sta prendendo piede capillarmente. Con buona pace di quelli che hanno fatto di tutto per bloccare la ricezione del Concilio. La storia va avanti.

4. Alcun tempo fa, Papa Francesco ha nominato quattro donne per la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi. È un’indicazione che la situazione si cambia in relazione al ruolo delle donne nelle strutture della Chiesa? Quanto sono importanti questi nominazioni?

Sicuramente. È la politica dei piccoli passi, fermi e decisi, con cui Francesco tenta di favorire quell’aggiornamento che il Concilio aveva indicato come via maestra perché la Chiesa fosse in grado di rispondere alla sfida dei tempi. Non so, in realtà, quante siano oggi le donne che occupano nella Chiesa posizioni decisive. Certamente troppo poche, e poi non si tratta ancor di posizioni decisionali.

5. Le numerose riforme sono state cominciate con Papa Francesco. A presto sarà finita la riforma della Curia vaticana. Questi cambiamenti possono influenzare la posizione delle donne, ma anche dei laici nella Chiesa?

Francamente non so, anche se lo spero. Il cuore del problema sta in quello che Francesco ripetutamente vede come il dramma della Chiesa del nostro tempo e cioè il clericalismo: come si fa a de-clericalizzare una struttura radicalmente clericale, potentemente clericale, tentacolarmente clericale. Come suo solito il Papa fa appello a una conversione interiore dei singoli: riuscirà a favorire anche una conversione delle strutture? Ce lo dirà il futuro.

6. La mancanza delle vocazioni spirituali è un fenomeno generale, soprattutto in Occidente. Questo è ovviamente soprattutto della vita religiosa femminile. Quale è causa di questo fenomeno ed è necessaria una riforma riguardo questo?

L’analisi sulle cause psico-sociali di questo fenomeno sono state fatte e sono del tutto comprensibili a partire dalla grande rivoluzione delle idee e dei costumi che ha segnato il Novecento. Con tristezza, ma si deve ammettere che tante forme di vita religiosa femminile che sono fiorite nell’ottocento e nella prima metà del novecento non hanno futuro. Ma bisogna anche chiedersi: perché la Chiesa non considera una risorsa anche tutte quelle donne a cui basta oggi la consacrazione battesimale per sentirsi pienamente realizzate e pienamente chiamate a mettersi al servizio delle comunità ecclesiali? siano esse single o sposate, non testimoniano forse che il battesimo ha una sua pienezza che deve essere riconosciuta oltre che testimoniata?

7. Dagli anni 60′ e dall’emergenza del femminismo, riguardando i diritti e il ruolo delle donne nella società e nella Chiesa, la situazione è molto cambiata. Quali sono le conseguenze positive e negative del femminismo, ma anche della teologia femminista?

Per rispondere a una simile domanda ci vorrebbe molto tempo. Mi limito a una considerazione. Il femminismo, come tutti i movimenti storici, è ambivalente. Non può essere altro che così: persino della Chiesa noi dichiariamo l’ambivalenza quando la definiamo casta meretrix! Voglio dire che la grande portata dei diversi femminismi è stata ed è enorme, chiede paziente discernimento, chiede di saper intercettare ciò che opera in profondità e quanto resta in superficie, impone intelligenza critica e capacità dialogica. Purtroppo invece, almeno per quel che riguarda i suoi pronunciamenti ufficiali, la Chiesa ha dimostrato di non essere in grado di dialogare con le femministe. Ha preferito perdere generazioni di donne piuttosto che interloquire con loro. E abbiamo perso tempo, energie, idee, occasioni. La teologia femminista è un’opportunità, risponde alla fatica di ripensare la teologia a partire dall’evidenza, ormai inequivocabile, che anche la differenza di genere rappresenta un criterio di comprensione e valutazione teologica.

8. Lei è una teologa, biblista, docente, fondatrice e prima presidente del Coordinamento teologhe italiane, e anche Lei promuove i diritti delle donne nella Chiesa e nella società. Quale è la posizione delle donne oggi nella Chiesa rispetto a 30-40 anni fa?

Purtroppo molte, troppe donne, hanno preferito andarsene dalla Chiesa, e quelle che sono rimaste non sono sempre in grado di mettere la loro partecipazione a servizio delle comunità. Va poi anche detto che, per quelle che invece, caparbiamente, non vogliono sentirsi estromesse e, anzi, si sforzano di essere “pietre vive” il livello di frustrazione è, spesso, molto alto. Una mentalità clericale, un’organizzazione clericale, un atteggiamento clericale può, al massimo, tradursi in forme di paternalismo contro cui ormai le donne hanno però sviluppato una sorta di ipersensibilità. Ci vuole pazienza e tenacia, ben sapendo che certe trasformazioni non sono repentine. E, forse, alti saranno ancora i prezzi da pagare.

9. Come Lei commenta il fatto che molte donne che lavorano nelle istituzioni ecclesiastiche non osano sposarsi e avere figli? (Questo è presente in molti casi in Bosnia-Erzegovina e in Croazia).

Non saprei con precisione quale sia la vastità di questo fenomeno nei diversi paesi. Negli anni 70 avevo conosciuto alcune impiegate che lavoravano in Vaticano e alle quali era stato richiesto di rinunciare a matrimonio e maternità. Se non fosse tragico, sarebbe comico: proprio la Chiesa, che ritiene il celibato una chiamata, poi lo impone in nome del posto di lavoro, e che continua a considerare la maternità come il destino delle donne, poi arriva a simili forme di ipocrisia e a simili forme di violenza.

10. In fine di questa conversazione, secondo Lei, cosa possiamo aspettarci in futuro per quanto riguarda la posizione delle donne nella Chiesa? Quale ruolo avranno le donne nel futuro della Chiesa?

Ci tengo a concludere con un’osservazione. Il ruolo delle donne nella Chiesa non è una questione, un corollario, è piuttosto un sintomo – e non il solo – dell’assoluta necessità per la Chiesa di compiere una transizione epocale. Il Concilio ha solo tracciato, e ancora con tante incertezze, un orizzonte di fondo sul quale collocare le diverse questioni. È a quell’orizzonte che dobbiamo guardare. Se inscritte in quell’orizzonte, le donne non sono né un’appendice, né un problema. La loro consapevolezza è una grande opportunità e una grande risorsa perché la Chiesa arrivi a ripensare se stessa in fedeltà al vangelo e alla sua storia di presenza al mondo.