Per Silvano

Cettina Militello ricorda l’amico Silvano Maggiani, grande liturgista, scomparso il 18 gennaio.


Non so dire quando esattamente ho incontrato Silvano per la prima volta, forse a metà degli anni ’70 all’APL, l’Associazione Professori di Liturgia. Di certo c’è stato tra noi un feeling immediato, tant’è che nel 1985/86 mi chiese – era il responsabile del I ciclo – di venire al “Marianum” per tenere il corso di Ecclesiologia. Eravamo quasi coetanei e avevamo in comune entusiasmo, fedeltà alla Chiesa del Concilio, attenzione alla liturgia, colta tutt’altro che come cerimonia ma come incontro, assemblea costituente e costitutiva del popolo di Dio. Ci appassionavano i temi della partecipazione attiva, dello spartito comunionale della celebrazione, l’attenzione al luogo cultuale, paradossale e reale epifania della Chiesa.

Silvano ebbe a raccontarmi che la sua vocazione al ministero era germinata in una lontana notte di Pasqua. La sua famiglia non era praticante e suo padre, di tradizione anarchica, l’avrebbe sempre apostrofato “il frate” con una punta di ironico dissenso. Però, come usava a quel tempo, a una vicina di casa era sembrato sufficiente che l’accompagnasse alla veglia un maschietto, anche se aveva sì e no dieci anni. La celebrazione lo commosse a tal punto da decidere che si sarebbe fatto prete e servo di Maria – credo che fosse la Chiesa dei Servi in quel di Marina di Carrara il luogo dove aveva accompagnato la vicina. La passione per la liturgia non lo abbandonò più sino a farne oggetto dei suoi studi prima e poi del suo insegnamento. E in ciò lo guidò non poco la lettura di Romano Guardini, la comprensione dell’atto rituale come qualcosa di gratuito e gratificante, da vivere per noi, in un gioco di specchi di reciproca bellezza con Dio.

Silvano amava il bello in tutte le sue forme. La bella liturgia, le belle chiese, gli spettacoli belli che la natura (e non soltanto) gli proponeva e ovunque si trovasse metteva a profitto odori colori sapori musica parole gestualità. Lo ricordo in occasione dei miei cinquant’anni nella casa di campagna di mio padre mentre in silenzio, rivolto verso Scopello, si perdeva nella bellezza del tramonto. E ricordo, sempre a Castellammare, non so in che anno, una liturgia domestica di Pentecoste in occasione della quale mettemmo insieme una profusione di incenso ceri e petali, tanti tanti petali, di rose rosse. Preparai io stessa il pane azzimo che, casualmente, venne cotto nel forno a legna. Alla fine Silvano se ne uscì con uno stupefacente: quant’era buono questo Gesù…

Di Silvano liturgista a ragione sono altri a dover parlare. Io voglio solo ricordarlo come l’amico con il quale ho condiviso gioie e dolori. Gioia di una libertà sconfinata, di un giudizio limpido e puro, di un discernimento acuto e, direi, acuminato. Gioia delle piccole cose che la vita ci ha offerte, il mare ad esempio. Con lui ho fatto le nuotate più lunghe della mia vita. Abbiamo visitato a Castellammare i faraglioni di Scopello, il mare di Guidaloca, e a Cefalù il mare di Mazzaforno e della spiaggia, a ridosso di quello che un tempo era il Club Mediterranée. A Mazzaforno ci urlarono di tornare indietro, visto che ci eravamo spinti al largo là, oltre le boe, dove avevano diritto di stare solo le barche e i motoscafi.

In acqua Silvano si sentiva leggero. Suo padre lo aveva buttato a mare senza complimenti quando aveva sì e no quattro anni. Era riuscito a stare a galla e l’esperienza gli era piaciuta. Il mare, l’acqua gli mancavano in quel di Roma. Tornava volentieri al suo mare natìo. Credo abbia nuotato sino all’anno passato.

Silvano era allegro e gioviale sempre e con tutti. Mi chiamava “la cardinala” Militello e non so dove finiva lo scherzo e dove cominciava il discorso serio. Sì, perché Silvano era uno dei pochi che non conosceva la misoginia. Apprezzava alla pari uomini e donne, ma non per puro spirito egalitario. Apprezzava chi valeva la pena d’apprezzare. Con lui mi sentivo assolutamente alla pari.

Di prove di stima e di amicizia me ne ha date tante. La più avvincente, nell’anno accademico 89/90, fu quella di cedermi il suo corso a II ciclo. Avevo lasciato Palermo e non avevo il corso al I ciclo. Volle che non avessi in nessun modo una discontinuità nell’insegnamento. E allora con semplicità e gioia passò a me il corso che avrebbe dovuto fare.

Silvano ha retto con mano ferma, creativa e lungimirante le realtà che è stato chiamato a guidare: l’APL, la comunità di studio, la facoltà Marianum – nove gli anni della sua presidenza! E l’ultimo suo dono a questa istituzione che ha profondamente amata e a cui ha dedicato gran parte delle sue energie sono i nuovi statuti, elaborati in ossequio alla costituzione Veritatis Gaudium. Né di poco conto è stata la sua presenza all’Ufficio Celebrazioni Papali. A lui, padre Ignazio, don Crispino ed altri, dobbiamo se la riforma liturgica – durante gli anni di mons. Piero Marini – si è attuata, coraggiosamente e bellamente, anche nelle liturgie presiedute dal vescovo di Roma…

L’unico mio rammarico – né sono la sola – è quello di non essere riuscita a convincerlo ad avere più cura di se stesso. A chi gli chiedeva, Silvano diceva sempre che stava “benino”. Faticava a camminare senza supporti, aumentavano i cerotti, poi le bende alla sua gamba, lottava contro le apnee notturne e con altre cose ancora, ma diceva lo stesso di stare “benino”. Me lo ha detto sino all’ultimo giorno in cui l’ho visto e gli ho parlato, il 26 dicembre u.s. Perché poi l’ho rivisto il 3 gennaio, in uno stato assai prossimo al coma, ma non era più lui. Pensavamo che non avrebbe passata la notte. L’ho segnato sulla fronte e gli ho detto: Silvano, va in pace! La gioia della sua ripresa è stata davvero di breve durata.

Penso però che non volesse per sé una faticosa vecchiaia. Penso sapesse che minimizzare i suoi malanni non era semplicemente un atto di ottimismo. Penso che non si riproponesse traguardi lontani. E, allora, se ciò che voleva era chiudere i suoi giorni prima d’essere di peso a se stesso e agli altri, con minore rammarico gli diciamo: va’ in pace!

Sì, Silvano, va’ in pace! Ti penso libero e leggero dalla tua pesante bardatura mentre nuoti nelle Acque del Vivente. Finalmente sei giunto alla dimora che tutti ci attende. Ora né lutto, né lacrime, né lamento possono più turbarti. Resta il vuoto della tua amicizia, della tua rassicurante presenza: ci mancherai e tanto. Ma tu restaci prossimo e amico. E prega per noi il Misericordioso! Va’, va’ in pace!

 

Cettina Militello
(21.01.2020)