GLI AUGURI DI NATALE DEL CTI

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È di nuovo Natale, segno di quella forza ostinata che la vita sa esprimere quando ancora una volta osa scommettere sul domani. Non è scontato che dentro e fuori di noi ci sia lo spazio sufficiente per questa speranza. Oggi, per tante situazioni, l’umanità si sente come Agar nel deserto: costretta ad allontanare da sé il bambino per non vederlo morire.

Una guerra vicino casa, che non trova la via del ritorno e che si aggiunge a tutte le altre ancora in corso, donne massacrate perché si ribellano alle leggi scritte sui loro corpi o perché desiderano sottrarsi a legami possessivi, migranti che nessuno vuole riconoscere come fratelli e sorelle, una terra squilibrata e ferita dalla più intelligente delle creature, comunità ecclesiali spente e a volte opache: tutto questo pesa sui nostri auguri.
Eppure è di nuovo Natale. La luce si riaccende, non è tutto finito. C’è ancora chi fa un gesto di pace, chi tenta di salvare la libertà delle vittime, chi accoglie una vita straniera, chi pianta un albero senza distogliere gli occhi dal bosco, chi si fida della forza connettiva dello Spirito. E c’è anche chi – come noi – sostiene questo miracolo cercando e scambiando parole di speranza, pura energia per il sogno divino di un’altra umanità. In certi momenti, soprattutto quando non si può fare altro, è già molto anche solo ripetere la famosa domanda di Isaia: «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21,11). Domande come questa non si limitano a rivelare un’incertezza, ma sprigionano una straordinaria potenza perché sospendono il male nominandone la provvisorietà. Domande come questa ci lasciano sperare che il dolore non durerà per sempre e che passerà. Si può anche dubitarne, certamente. Eppure qualcosa ci dice che vale la pena crederci, ricordando che «Per avere luce bisogna farsi crepa. Spaccarsi. Sminuzzarsi. Offrire» (Chandra Livia Candiani).

Buon Natale dal Coordinamento Teologhe Italiane!