La finestra teologica 64

La mia riflessione prende spunto dalla considerazione che i credenti
si trovino in contrapposizione etica con il mondo, e che quindi siano
in contrasto con il sentire comune.
Da sempre la Chiesa, attraverso i riferimenti alla Sacra Scrittura,
alla tradizione del passato e ai documenti magisteriali, sottolinea il
mistero che la unisce strettamente a Gesù Cristo, svelando come sua
specifica missione quella di essere nel mondo il sacramento dell’unità
del genere umano.
La sua intera natura è già, quindi, il “segno” della comunione
profonda con Cristo Capo, quella comunione che, pur suggerita da
immagini e icone varie, trascende le categorie e illustrazioni umane
che la esprimono.
Non a caso, il concetto di κοινονία trapela da molti testi del CVII (
LG, DV, UR), ed è in grado di esprimere il nucleo profondo del mistero
della Chiesa, divenendo così chiave di lettura adeguata della
ecclesiologia cattolica. La Chiesa si presenta come realtà misterica
del popolo di Dio raccolto dallo Spirito nell’unico corpo di Cristo,
corpo indiviso nel quale l’unità dei fedeli deriva dal loro essere
membra dello stesso corpo.
Nel tentativo di chiarire il significato della reale appartenenza alla
Chiesa di Cristo ( cfr. UR 3 e LG 15), i documenti conciliari
utilizzano un linguaggio prudente e rispettoso, rivolgendosi a diversi
gradi e modi di appartenenza ( “appartengono” riferito ai cristiani
non cattolici, “incorporati” per i soli cattolici, “congiunti” per i
non cattolici e catecumeni).
Ora, in riferimento a quanti sono incorporati in virtù del battesimo
nella Chiesa cattolica, LG ribadisce che in questo unico corpo
indiviso non esistono differenze in rapporto a stirpe, nazione,
condizione sociale o sesso (LG 32/ Gal 3, 28 /Col 3,11). La questione
che mi sembrava interessante sollevare riguarda proprio questa ultima
attestazione, vale a dire : nel tentativo di superare
l’ecclesiocentrismo autoreferenziale, il CVII ha sviluppato
un’ecclesiologia di apertura e ricerca di dialogo ad extra.
Questa focalizzazione non ha creato una condizione di scarsa
osservazione delle divisioni interne a questo corpo indiviso ?
La situazione sociale profondamente mutata rispetto a quella degli
anni del CV II ha prodotto la necessità di prendere atto della
presenza, nel corpo della Chiesa, di quelle che quasi appaiono come “
cellule metastatiche” : i separati, divorziati, conviventi, cristiani
solo per accesso sacramentale.

Nell’attenzione alla ricerca del dialogo esterno, non abbiamo
rischiato di perdere di vista quanto accadeva all’interno del corpo,
non abbiamo sottovalutato la necessaria “cura interiore”?
Non è forse arrivato il momento di superare , nella Chiesa, la
reazione autoimmune ai cambiamenti che questo corpo sta subendo ?

Barbara Serpi