“Il Dio di Israele non è mai divenuto un Dio che sanziona il presente, vincolato ai luoghi ed al ritmo inalterabile della vicenda cosmica: è restato sempre un Dio che muove al futuro, che inquieta la sazietà, suscitando fame, che sostiene lo smarrimento, suscitando la speranza, che libera dalla prigionia del presente suscitando il futuro. E tutto questo Egli lo fa attraverso la Parola: non è un Dio delle teofanie, che sacralizzano un tempo e un luogo, ma un Dio che parla che entra in dialogo con il suo popolo, che giudica, e promette e consola. Un Dio che sa amare e ripudiare, gioire e soffrire, decidersi e pentirsi, un Dio geloso, che si adira, e prova disgusto, e conosce tenerezza.”
B.Forte, Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia, Ed San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1985, p. 71
Questi elementi sono semplici “antropomorfismi”, proiezioni umane su Dio, con cui cerchiamo di esprimerne la “pateticità” o non piuttosto un suo reale mostrarsi coinvolto, e un voler intrecciare la sua storia con la nostra?
Lucia Magrini